Il 2 aprile 2005 è una data che, per religione cattolica e non solo, segna la fine di un’ epoca.
L’epoca in cui la Chiesa era governata da un Papa, che, con quello strumento potente, definito “dialogo”, ha abbattuto confini inimmaginabili. I giorni di sofferenza furono condivisi sia con un’assidua presenza, come veglia di preghiera, in piazza San Pietro, sia dai propri luoghi di residenza, in diretta televisiva.
Quando penso a questo personaggio religioso, mi tornano in mente le parole del brano di Amedeo Minghi, il cui titolo, Un uomo venuto da molto lontano, se lo confrontiamo con le origini di Papa Francesco, argentine, sembra bizzarro. All’epoca, era il primo Papa non italiano.
Karol Woytila nasce a Wadowice, il 18 agosto 1920, e, sin da bambino, tra studi e giochi con i fratelli, aiutava il padre in umili lavori. Il giovane aveva una predisposizione nel sostenere il Prossimo ed entra a far parte di una comunità di volontariato. La Polonia all’epoca era già molto cattolica il problema si pone quando nel 1938 vengono introdotte le leggi razziali dai dittatore nazista Adolf Hitler che vuole conquistare L’Europa in particolare quegli stati in cui erano presenti persone che avrebbe voluto convertire o eliminare come nel caso degli ebrei e nella penisola balcanica nella penisola balcanica venera un elevato numero purtroppo anche lì saputo che la Polonia è stato un territorio occupato dai cosiddetti campi di lavoro che poi divennero campi di tortura e di morte primo fra tutti Auschwitz.
Nel 1978, Karol viene eletto Papa e, sin dal suo primo discorso ai fedeli, fece notare quanto le sue umili origini avrebbero potuto renderlo la persona più adatta a riportare una pace spirituale in un mondo così frammentato dall’odio, provocato dalla guerra e dalle crisi conseguenti. Inoltre, fu anche protagonista dell’unione filosofica tra l’Occidente capitalista l’Oriente comunista. Non ancora Papa, vide innalzare il Muro di Berlino e, da Sommo Pontefice, lo vide crollare: quella notte fu una festa per il mondo intero.
Egli aveva una mentalità moderna e non stupivano le sue passeggiate in montagna, in particolare in Val d’Aosta, dove egli poteva rigenerarsi, prima di affrontare un nuovo Cammino con il suo popolo. Aveva offerto amore a qualunque essere umano, ma, fatto che venne seguito anche dai mass media, aveva avuto il desiderio di incontrare suo attentatore, Alì Agca, che, nel maggio del 1981, proprio nella giornata in cui si celebrava l’apparizione della Madonna di Fatima, in mezzo alla folla, che assisteva al consueto giro del Papa, sull’automobile, gli sparò. Vittima di un folle, Giovanni Paolo II se la cavò con un’operazione, ma si riprese in fretta. Egli comunicava con il mondo esterno, che soffriva con lui, con interviste, e lo consolava dal Policlinico Gemelli di Roma.
Egli proprio il coraggio di perdonare il suo attentatore e deciso di incontrarlo in carcere. Il suo gesto ricordò quello di Gesù, condannato ingiustamente alla Crocefissione.
La prima volta che ho visitato i sotterranei dei Musei Vaticani, dinanzi alla sua tomba, l’istinto porta a inginocchiarsi e a piangere sommessamente di nostalgia, ma anche di felicità, perché è stata una fortuna, per quasi diciassette anni, “conoscere” un esponente di Gesù della sua entità.