Politica

Sono snob di sinistra in crisi di identità e me ne vanto

Riflessione dell'ex sindacalista Bruno Spagnoletti

Mi piace la cultura, amo la cultura, vorrei che fosse il programma di tutti i partiti e la prima parola da pronunciare quando si governa; una priorità volta alla crescita e alla valorizzazione di opportunità, merito e competenze di tutti i rappresentati a partire dai diseguali; una platea sempre più diffusa e indotta dalle “crisi” di diversa natura e qualità drammaticamente in essere. Ma siamo messi male. Quando si cerca di parlare di cultura, di professionismo, di capacità, si viene tacitati come “snob”, come chi si dà delle arie, come chi vorrebbe tutti diplomati o laureati, sia con la laurea triennale, sia magistrale. Però, c’è sempre un però, e la realtà è davvero triste. Siamo il paese con meno laureati in Europa, assieme alla Romania. Siamo il paese che guida la classifica europea, per quanto riguarda l’analfabetismo funzionale, assieme alla Spagna. Siamo il paese europeo nel quale, secondo uno studio dell’Ocse, la percezione dei cittadini è più distante dalla realtà dei fatti, su una moltitudine di temi di attualità. Da anni, ormai, la politica, e buona parte dell’informazione, fanno a gara a spiegarci che la colpa non è del popolo, che il popolo ha sempre ragione, che il mondo l’hanno rovinato quelli in giacca e cravatta, i famosi professoroni, nemici giurati di ogni partito o movimento populista. La cultura, per buona parte del nostro paese, ormai è vista come un disvalore. Perché la parola del tizio, con la 3a media, che si informa sui siti internet, per tutti loro, vale quanto quella dello scienziato, anzi, di più, perché il suddetto tizio informato non è pagato da chissà quale potere forte. Tutto questo, probabilmente, è iniziato qualche anno fa, quando Grillo gridava sul palco che bisognava mettere una massaia che sa far quadrare i conti a casa, a fare il ministro dell’economia, per poi scegliere di mettere il Prof. Tria (coerenza dimettiti). E molti hanno creduto che fosse un ragionamento sensato. Fatto sta che oggi, anche a sinistra, far notare che è urgente innalzare il livello culturale medio del paese, risulta un discorso snob, radical chic, di intellettuali illuminati ma mai egemoni (come li chiamava quel galantuomo di “intellettuale organico” di Antonio Gramsci. Non ci sarà mai modo di correggere gli errori sistemici nei quali siamo immersi, dal razzismo alla violenza, dal sessismo all’incapacità di distinguere chi si approfitta di loro politicamente, se non si parte dalla cultura, dall’apprendimento critico e dalla fornitura del Kit culturale per cogliere le strumentalità della “pancia” e convergere sulla grande bellezza del dubbio e dell’adagio di Socrate “io so di non sapere” . Perché, da sempre, un popolo ignorante è più facile da controllare, da raggirare. Basta agitargli un nemico immaginario davanti agli occhi, per ottenere un consenso plebiscitario.
Bisogna amare il popolo, per volere che sia migliore. I progressisti attuali, nella stragrande maggioranza dei casi, lo disprezzano. Vedono l’ignorante come uno al quale togliere il diritto di voto, non come un compagno da aiutare, come una vittima inconsapevole di un sistema malato. Così le destre populiste e sovraniste hanno buon gioco a dire alle masse di ignoranti, che va tutto bene, che sono perfetti così, che hanno una marcia in più degli altri perché sono italiani, tanto, dall’altra parte, hanno quelli che, effettivamente, li disprezzano. La sinistra ha abbandonato quelle persone e le ha lasciate nelle mani della destra populista, è un dato di fatto.
Parlare di cultura non è e non deve essere un modo per tracciare una riga tra “noi” e “loro”, chiedere cultura per tutti, rivoluzionare un sistema che la nega, dovrebbe essere il primo punto nell’agenda di qualsiasi partito.

DOVREBBE MA NON LO È!

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