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PRIMI MESI DELL’ANNO SCOLASTICO 2021/2022: L’ANORMALITÀ REGNA SOVRANA.

IL FALLIMENTO SCOLASTICO ORMAI È PRASSI: DAL 1968 AD OGGI NESSUN PROBLEMA, TUTTO COME AL SOLITO.  

Come ricorderanno i lettori, ho già scritto vari articoli sulla scuola italiana. Siccome il dibattito ad essa relativo è in continua evoluzione, mi sembra doveroso condividere con i lettori alcuni aggiornamenti.

Ormai, dopo quasi due anni di Covid, in cui l’intero settore dell’educazione si è ritrovato allo sbando, molte autorità hanno proclamato un ritorno alla normalità per l’anno scolastico 2021/2022. Ogni volta che sento questo termine (normalità!), sorgono in me notevoli sospetti, quasi ovvi per uno psicologo. Chiunque sia coinvolto nel moderno mondo dell’istruzione, ben conosce la differenza tra fantasie e realtà.

Al solito, lo sposalizio tra burocrazia e farraginoso apparato scolastico, genera situazioni a dir poco imbarazzanti. Senza nemmeno aver concluso il primo quadrimestre, alunni e professori, ai quali era stato promesso un anno ordinario (“normale?”), hanno svolto lezioni in presenza, in D.A.D (didattica a distanza), a volte una modalità mista tra le due (alcuni alunni e docenti in classe, altri studenti collegati da casa).

Non vorrei soffermarmi su decreti e circolari a dir poco demenziali, riprendendo alcuni contenuti di quelle che giudico vette dell’assurdo: Rispettare un’adeguata distanza tra gli alunni di almeno un metro (nella classi) ove possibile, (chi emana le circolari possiede una minima conoscenza delle condizioni edilizie in cui si trova la generalità degli istituti italiani?), oppure quando uno studente sospetta di essere stato contagiato dal Covid, è “costretto” alla frequenza della D.A.D al mattino, mentre il pomeriggio può recarsi liberamente dove meglio ritiene opportuno.

I brevi esempi appena scritti rendono esplicita quella che ho chiamato anormalità dell’anno scolastico 2021/2022. Come ben sanno i nostri lettori, il dramma della scuola ha origini lontane, non si limita alla mera (mal)gestione della pandemia. Per chi volesse dedicarsi ad un interessante lettura natalizia consiglio il recente libro di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi dal significativo titolo: Il danno scolastico. Concordo con le molte e articolate tesi degli autori, essi individuano una triade di danni irreparabili occorsi all’istruzione in Italia: il fallimento dell’università modello 3 + 2 e dei crediti formativi, la sciagura creata dalla riforma Berlinguer anche nell’ambito degli istituti superiori. La loro principale critica è riservata al diritto del successo formativo. A questi tre gravi danni è da aggiungere la sommatoria di molte riforme inutili ed inadeguate, inserite in un contesto sociale in cui l’educazione ha perso gran parte del suo valore e delle sue potenzialità (una scuola valida è l’unica opportunità fornita a chi desidera incrementare il proprio status socio economico ed anche ad una società più istruita, insomma migliore).

Il risultato è un iter formativo incapace di fornire adeguata istruzione agli studenti. Per poter realizzare il diritto al successo formativo i programmi sono sempre più facilitati, voti e promozioni sostanzialmente “regalati”, gli esami di stato vere e proprie farse. Gli autori forniscono un quadro storico facendo risalire l’inizio dello sfacelo scolastico al 1968; il professor Ricolfi, grazie ad un’accurata raccolta ed analisi dei dati fornisce un supporto empirico drammatico e difficilmente contestabile.

Le sue conclusioni sono drastiche: la scuola ha causato un enorme danno per i giovani e la società. A suo avviso, un docente che certifica competenze (il neologismo moderno che sostituisce le “antiche parole” conoscenza e nozione) non possedute da un alunno, compie un falso in atto pubblico, un reato penale.

L’enorme nonché esagerata facilitazione della scuola fa sì che si ottenga il nefasto risultato fornito dai test INVALSI del 2021. Da queste prove emerge che gli alunni di quinta superiore hanno una preparazione equivalente a quella che si dovrebbe conseguire in terza media. L’esito sancisce una totale inadeguatezza del percorso formativo italiano. Un risultato che avrebbe dovuto obbligare a porre l’istruzione e le sue esigenze come la priorità del paese.

Il timore è che, vista la classe dirigente che stiamo crescendo potremmo incappare nel ripetersi di catastrofi già occorse nella storia, come ad esempio la grande campagna di eliminazione dei passeri, avvenuta in Cina dal 1958 al 1962. Mao voleva risolvere i problemi dell’agricoltura cinese, chiese ai suoi esperti (o presunti tali) una soluzione. Essi ritennero doveroso uccidere i passeri, in quanto questi graziosi volatili mangiano i prodotti coltivati dai contadini, diminuendone così il raccolto, generando un mancato guadagno per gli agricoltori e in definitiva per la nazione tutta. I suoi “geniali” tecnici concepirono una soluzione radicale, semplice ed efficace: basta uccidere i passeri e avremo un maggiore raccolto. Una volta sterminati i passeri, ci si accorse però della loro fondamentale utilità. La biologia e gli ecosistemi sono materie complesse, che bisogna conoscere. Ai tecnici sarebbe bastato ricordare che i passeri non mangiano solo i cerali, ma anche gli insetti, i quali privi del loro principale predatore possono agire indisturbati e cibarsi così di una quantità enorme di raccolto. Grazie a questa soluzione, in Cina si è verificata una carestia disastrosa in cui sono morte 55 milioni di persone.

Ho citato questo episodio proprio perché è il rischio che corre il nostro paese. Con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza saranno notevoli le risorse (anche economiche) da gestire, se non saremo in grado di utilizzarle al meglio sarà un disastro.

In data 10 dicembre 2021, tutte le sigle sindacali della scuola hanno scioperato, ponendo ben sedici rivendicazioni, tra le quali lo snellimento delle pratiche burocratiche, la valorizzazione delle ore di lezione, la richiesta della stabilizzazione dei precari. Quest’ultima richiesta appare a dir poco ovvia, in quanto, come capitato a molti studenti, cambiare cinque professori (di italiano, matematica, inglese o altre materie) in cinque anni, è semplicemente folle. Nel già citato  libro il danno scolastico si sottolinea come questa totale disattenzione alla continuità didattica sia una sciagura.

La presenza delle cosiddette classi pollaio (30 alunni o più) è stata creata in quanto si è pensato di accorpare gli alunni e ridurre i costi (gli stipendi dei professori). Questo ragionamento, assimilabile a

quello della campagna per lo sterminio dei passeri citato sopra, ha sicuramene contribuito ad un risparmio economico, ma il danno sociale, psicologico ed economico di creare intere generazioni di ignoranti ed incapaci è inqualificabile, sicuramente superiori alla cifra risparmiata.

Recentemente, alcuni articoli di cronaca mi hanno fatto capire come purtroppo siamo lontanissimi dal mio auspicio di dedicare ogni risorsa ed energia all’istruzione. Circa un mese fa (6 novembre 2021) Il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani, ha dichiarato che: “È inutile studiare quattro volte le guerre Puniche, occorre cultura tecnica”. Concordo parzialmente con il ministro, in quanto ritengo che ogni soggetto debba essere studiato adeguatamente (almeno una volta) lungo nell’arco del percorso di studi. La sua frase apodittica lascia però interdetti. Corrisponde al vero che i programmi scolastici siano da riformulare, trovo incredibile che si utilizzi il termine cultura tecnica, evidentemente anche il ministro Cingolani è stato formato nella scuola dell’impreparazione. La cultura è cultura e basta, difficile separarla tra tecnica, scientifica, umana (visione del mondo che risale al 1800 e si rifà alle idee del filosofo Wilhelm Windelband).

Dato che si ritiene che le guerre Puniche si studino ben quattro volte, sarei curioso di sapere se gli alunni sanno quale sia il significato del nome Annibale, ed in quale nazione moderna collocherebbero l’antica città di Cartagine (senza consultare internet ovviamente).

Nel caso di risposte errate vuol dire che le guerre Puniche sono da studiare cinque, sei, sette volte. Bisognerebbe solamente attuare ciò che ogni maestro insegna fin dalle elementari: si studia un argomento finché non lo si impara.

Rispetto alle conoscenze tecniche, consiglierei di soffermarsi su quello che è stata la logistica di un esercito, quello di Annibale, il quale partì dalla Spagna e giunse in Italia attraversando le Alpi (senza l’aiuto tecnologico di un navigatore satellitare). Come ultimo esempio cito la battaglia di Canne, avvenimento bellico in cui uno dei due contendenti sbaraglia l’avversario: il sogno di ogni generale, di ogni stratega che si dedichi alla guerra. Una battaglia le cui manovre sono ancor oggi studiate nelle accademie militari. Ricordo al ministro Cingolani, che di recente, noi tecnologici occidentali abbiamo appena perso una guerra in Afghanistan contro soldati che combattevano contro droni, aerei, satelliti utilizzando ciabatte e fucili Kalashnikov.

 

In una società iper narcisistica, la scuola non può sottrarsi allo spirito del tempo, è risaputo come anche l’istituzione scolastica affronti una fase che può essere definita come Scuola-Narciso. Molti docenti riferiscono che durante le lezioni, gran parte degli alunni si rifiuta di riporre i cellulari in cassettiere predisposte, nonostante le chiare circolari emanate dall’istituto. Ciò che a mio avviso dovrebbe inquietare è che molti di loro utilizzano la funzione specchio presente sul cellulare durante le lezioni: le ragazze si truccano, mentre i ragazzi si sistemano il ciuffo. Totalmente inconsapevoli dell’inadeguatezza del loro comportamento, gli alunni rimangono interdetti quando il docente convoca i genitori o assegna loro una nota disciplinare per questo loro comportamento.

In un articolo del Corriere della Sera del 20 novembre 2021, Dario del Prete, studente del liceo Manzoni di Milano, rappresentante del coordinamento dei collettivi studenteschi della città, si lamenta:

“Perché i giovani perdono interesse nell’andare a scuola. Ci sono verifiche a raffica, competizione tra studenti, si imparano competenze che si scordano subito e diventano inutili”.

Come già scritto, il libro Il danno scolastico spiega adeguatamente come mai si è arrivati a questa situazione. Nella scuola contemporanea ad un docente non è chiesto quasi nulla riguardo la qualità del proprio insegnamento, ma se ha svolto un adeguato numero di verifiche (scritte od orali) nel corso dell’anno. Il professore ed ancor più il dirigente scolastico (alias preside) sono sommersi da notevoli e spesso inutili pratiche burocratiche, entrambi temono la “querelite”, una sindrome da cui sono affetti in prevalenza i genitori dello studente, consiste nel denunciare qualsiasi sopruso (o presunto tale) effettuato nei confronti del proprio pargolo (magari già maggiorenne).

A mio avviso il caso estremo si è verificato in Sicilia, a Canicatti, dove una famiglia ha fatto ricorso al T.A.R, in quanto a loro parere, il figlio meritava 10 all’esame di terza media, ma aveva conseguito una vergognosa ed umiliante votazione: 9.

Non penso sia mio compito rispondere a Dario del Prete, anche se pare che la sua domanda di fondo sia: “A cosa servono i professori? A che serve la scuola?”

Probabilmente un docente dei nostri giorni a volte non è messo in grado dall’istituitone scolastica di poter spiegare l’ovvio. Ad esempio che i Promessi Sposi di Alesando Manzoni si leggono nel secondo anno delle superiori perché così si è deciso nelle Indicazioni emanate dal ministro Bacelli (anno 1881). Può sembrare un testo “vecchio”, incomprensibile ed inutile, ma siamo sicuri che la descrizione della peste del 1600 non abbia alcuna attinenza con i recenti fatti di cronaca? (pandemia Covid). La Divina Commedia di Dante Alighieri si studia negli ultimi tre anni delle superiori, perché così ha deciso il ministro Coppino nella revisione dei programmi del 1884. Forse anche questo un testo (che attualmente pare) incomprensibile per i nostri alunni. Essi pensano davvero di poter comprendere la società italiana senza conoscerne la lingua? Oppure l’iper semplificazione dei programmi prevede che si possano liquidare queste due ardue letture con il  dire che I Promessi Sposi sono la perigliosa storia di due fidanzati che anelano al matrimonio e la Divina Commedia un viaggio immaginario attraverso tre regni e tre guide?

La misurazione delle prestazioni di ogni singolo individuo è sempre complicata,  I test sono degli strumenti, bisogna conoscere come sono strutturati, cosa misurano e le condizioni in cui essi sono efficaci. Tanto per fare un esempio, i già citati testi l’INVALSI sono più utili per valutare la differenza generale tra istituti rispetto alla preparazione di un singolo studente (ma qui ci inoltreremmo davvero in un terreno forse un po’ troppo tecnico). Ricordo solo allo studente che imaprare le lezioni a memoria, come dimostrato dalle più recenti ricerche neuronali stimola la formazione di nuove sinapsi (connessioni neuronali) del sistema nervoso centrale. Capisco che la scuola debba fornire molto di più, data la situazione generale appena descritta nel mio articolo, inviterei gli studenti ad “accontentarsi” se un docente chiede semplicemente di memorizzare alcuni concetti.

Tutto ciò che ho sopra scritto può essere (agevolmente?) googolato (per utilizzare un espressione a mio avviso abominevole) su internet da chiunque. Lascio al lettore il dubbio se sia meglio provare a

compiere questa attività da soli, o se la ricerca, l’approfondimento e la spiegazione delle tematiche sia meglio effettuarla confrontandosi con un professore.

Spero che la (non) ardua sentenza (non) sia lasciata ai posteri.

 

Chi desidera porre quesiti od esprimere osservazioni può scrivere al seguente indirizzo email: liberamenteeco@gmail.com

 

 

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