Poesie

“Una mattinata: un padre, un figlio, la vita” di Elena Ramacci

L’improvvisa pioggia primaverile che sorprese tutti, per strada, smise, dopo dieci minuti, di essere dispettosa. L’acqua, tra aprile e maggio, è quasi allegra, quando la si osserva da dietro a una finestra, ma,, ,se ti fa un agguato, mentre sei a passeggio o in giro per commissioni, ti infastidisce come quella di novembre.

Dai diversi rami degli alberi, situati in un boschetto, appena fuori il paese, i cinguettii di alcuni passeri decretavano la fine delle intemperie. Nascosti tra le fronde, che già sfoggiavano tenerissime foglie verdi, con paziente lavoro, i piccoli volatili avevano iniziato la costruzione e la ristrutturazione dei nidi: bene presto ci sarebbero stati piccoli ospiti da accudire al meglio. Quel piccolo condominio, progetto architettonico della Natura, sarebbe diventato presto un vivace ed allegro crocevia.

Prima di arrivare all’ingresso del boschetto, provvisoriamente, erano stati lasciate un paio di virole, in attesa di essere trasferite nella discarica comunale. Questi due cilindri di ferro, di un diametro di circa un metro e venti centimetri ciascuno, erano stati rifugio, durante quell’acquazzone per diverse creature, tra cui Isaia e Richie, due vagabondi, padre e figlio.

Isaia provò a guardare fuori per vedere se davvero tutto fosse finito: il cielo, grazie alla brezza primaverile, aveva allontanato tutte                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          quelle nuvole che fino dieci minuti prima, avevano dato filo da torcere a chi si era avventurato per strada. Il sole incominciava a riscaldare l’aria, quindi sarebbe stata una buona giornata.

Cosa fare di meglio appena svegli? Ovviamente sgranchirsi e allungarsi sino a toccare il cielo! Solo che Isaia lo fece con molto vigore, al punto di spingere e rotolar via il povero Richie, che ancora dormiva.

“Ma papà!! Cosa fai? ’’ chiese Richie, a zampe all’ aria, ancora mezzo addormentato.

“Scusami figliolo, non avevo visto che fossi così vicino” rispose Isaia, affranto per il brusco risveglio del suo piccolo.

“Caspita! Mi ha dato un colpo di coda che ho pensato mi sparassi sulla Luna, Pà!” replicò il piccolo, ormai sveglio ed in piedi “Ho fame!” fu la seconda frase che riuscì a pronunciare.

Isaia guardò il suo cucciolo: aveva poco di più di tre mesi e la vita con lui già era stata ingiusta. Era ubbidente, ma, come molti animali di quell’età, anche molto curioso e un poco spericolato. Un semplice “no” e Richie tornava nei ranghi, senza discutere.

“Non ti muovere da qui, vado a cercare qualcosa da mangiare per la colazione…” lo informò Isaia “… e se conosco ancora bene questo posto, sicuramente sarà una buona colazione!” accentuando le parole “buona” e “colazione”.

Richie scodinzolò allegramente e con il musetto si strusciò contro quello del padre. Isaia ricambiò quella carezza leccandogli il naso e partì per la “spesa”. Poco dopo il babbo tornò e gli appoggiò per terra davanti alle zampe due mele selvatiche e qualche fragola di bosco. Profumavano intensamente ed il piccolo, preso dalla fame, azzannò una delle mele selvatiche rimanendo con il musetto completamente bloccato. Cercò con lo sguardo un aiuto da parte di Isaia, il quale prima rise e poi gli disse:

“Sputa, somarello… te la preparo io, tu intanto impara per quando la tua bocca sarà più grande!”

Il piccolo obbedì ed una volta che la mela fu libera dalla morsa, Isaia con quattro colpi di mandibola la ruppe a pezzetti:

“Adesso assaggia!” ma finì a malapena la frase: Richie aveva subito addentato un pezzetto di mela, masticandolo rumorosamente e con compiacimento!

“Buona!!” rispose appena inghiottito il primo boccone. Poi incuriosito dalle fragole, si avventò su una di esse e sentendola morbida al palato, la mangiò ad occhi chiusi ed espressione beata. Isaia guardava con ammirazione il suo bimbo e più cresceva, più era il ritratto di Peggy, la sua adorata Peggy. Lo stesso sguardo dolce, lo stesso colore del manto tra il beige ed il biondo più estremo e dalle belle zampette grosse capì che Richie avrebbe preso dal padre almeno l’altezza. Isaia, cagnone meticcio color nero focato ed occhi nocciola era l’esatto opposto di Peggy, nata da una storia d’amore tra un Cocker ed una Pechinese. Conosciutisi per strada, avevano scoperto di avere tante cose in comune: una vita precedente con dei padroni e la vita presente da randagi. La felicità di Isaia e Peggy quando nacquero Richie e Lulù… Lulù, la copia esatta di Isaia, dal colore alle movenze… ma come la madre Peggy, anche la piccola Lulù aveva una grande ingenuità. Si fidavano, si fidavano di tutti. Non vedevano il male nel mondo, pensavano che tutto e tutti fossero come loro.

Ma non era così. Quel maledetto accalappiacani, non riuscendole a catturare, le aveva ingannate con dei bocconcini avvelenati. Peggy si spense con elevate sofferenze e la piccola Lulù venne avvelenata da un solo piccolo boccone per farle attraversare il Ponte, senza aver vissuto almeno l’infanzia. Quel giorno Isaia aveva portato Richie lungo un torrente per fargli vedere come catturare dei pesci. Si erano divertiti parecchio anche se il bottino era stato magro… e quel divertimento lo pagarono a caro prezzo.

Solo Isaia vide la scena del maledetto umano, che caricava i corpi delle sue amate su di un furgone. Riuscì a risparmiare la scena al piccolo. Ovviamente, Richie chiedeva dove fossero sua madre e sua sorella ed il padre adottò la scusa ufficiale che erano andate a trovare dei parenti che abitavano lontani. Come avrebbe potuto raccontare l’omicidio della madre e della sorellina ad un cucciolo? Il cuoricino di Richie non avrebbe retto, mammone com’era. Erano rimasti solo loro due al mondo. Per questo Isaia avrebbe insegnato tutto quella che sapeva, al figlio. Voleva sopravvivesse, da tutto e da tutti.

“Ricordati di questa frutta, è commestibile… e buona! Quando avrai fame, ti sarà di conforto e poi ti insegnerò che ogni stagione ha dei frutti buonissimi! È vero anche noi non siamo vegetariani, ma quando lo stomaco è vuoto, tutto va bene!”. Egli spiegò a Richie una sorta di catena alimentare. Certo, il cucciolo avrebbe avuto bisogno di latte e conoscere la carne, ma come avrebbe fatto, anche solo per il latte?

Ripresero il cammino interrotto dalla pioggia, lungo il ciglio di una strada poco frequentata. Il piccolo camminava con passo allegro mentre Isaia stava dietro di lui. Sapeva che ad un certo punto, quel passo sostenuto si sarebbe trasformato in passeggiata e poi in un “Papà sono stanco”. Era ancora troppo giovane per avere le forze di sostenere una marcia più lunga, ma Isaia sapeva che ogni età aveva i suoi tempi: ben presto sarebbe stato lui a far fatica a stare al passo con il figlio.

Il racconto prosegue.

 

 

 

 

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