Attualità

E’ NATALE, VIETATO STARE SOLI

Il punto di vista di Fabrizio Uberto

Rimuovere, aggregarsi, stordirsi. Sono le parole d’ordine di questo nostro tempo sospeso, tra vecchie e nuove ansie ( Guerra, Covid, Violenza). E lo sono a maggior ragione in vista delle imminenti festività, in relazione alle quali, pare che si erga l’imperativo ” Tu non puoi star solo!”. E allora via libera alle chat collettive ( spesso un vero e proprio ricettacolo di coatti e nullafacenti), agli aperi-cena, ai convivi familiari. Una società la nostra ( a differenza di altre, orientali o semplicemente antiche), che ha espunto dal suo vocabolario le parole “Lutto” e “Solitudine”. E ciò non perché perdite e isolamento non esistano oggettivamente, ma per la semplice ragione che l’input sociale li vuole a tutti i costi ” addomesticare”, se non addirittura rimuovere. Solo la malattia fisica ha diritto di cittadinanza, per il resto l’odierno “main stream” ci vuole tutti obbligatoriamente in forma smagliante.
” Basta pensare ai tuoi problemi, reagisci!”
Altro imperativo in voga quest’ultimo, che fa strame di quella che dovrebbe essere una doverosa differenza tra resa e accettazione.
L’opinione comune confonde i due concetti. E sta proprio qui il vizio originario, causa di tante finzioni. In altre parole, si vuole a tutti i costi saltare un passaggio, quello dell’accettazione o elaborazione delle nostre perdite, o semplicemente carenze. E’ come se un “Grillo Parlante” sociale ci obbligasse a reagire subito, pena lo stigmatizzarci come ” sconfitti”. Se non esci, se non ti diverti, vieni considerato un ” invisibile”. La tipica domanda- epiteto: ” Ma come? Non fai niente a Capodanno?”, contiene già un’esecrazione senz’appello di un comportamento considerato balzano, al limite dell’ eretico.
Si dirà che non c’è alternativa a tutto questo e che ormai una consuetudine consolidata ci vuole così: annaspanti per mancanza d’ossigeno tra folle deliranti a caccia dell’ultimo regalo, partecipi contro-voglia a convivi con parenti che magari detestiamo, eccitati forzosamente all’appuntamento col gran finale di San Silvestro.
Si sottovaluta in questo modo il libero arbitrio, la possibilità per un individuo che sia effettivamente tale, di sottrarsi a questo “delirio” e percorrere altri “cammini”, più veri e più spirituali. Ciò vale ad esempio per il Natale. Trattandosi di festa religiosa, perché non cogliere l’occasione di raccordarci con la spiritualità? Lo possiamo fare, credenti o laici, ad esempio attraverso la preghiera. Quest’ultima non deve essere necessariamente interpretata in senso tradizionale, ma può assumere il significato di un contatto più intimo con noi stessi, di un tentativo di connessione con un nostro sé trascendente, con la forza interiore che sentiamo inviarci da chi abbiamo perduto. In una parola, l’invito è di riconnetterci con noi stessi e di disconnetterci invece, dal mondo artificiale delle chat e delle futili aggregazioni.

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