Il punto di Virginia

LA CASA DEI ROSES: L’OGGETTO CONTESO

Intervista all'Avv. Maurizio Cardona specializzato in Diritto di famiglia

In Italia un’elevata percentuale di famiglie vive in una casa di proprietà. La casa tradizionalmente per noi è un bene fondamentale sul quale investire a tutela della famiglia e delle generazioni successive. Secondo l’Osservatorio Nazionale “Casa Doxa” per 4 italiani su 10 la propria abitazione è un rifugio sicuro dal mondo esterno che protegge e conforta e, riporta ancora l’inchiesta, che il 54% delle persone vorrebbe aiutare figli e nipoti ad acquistarla perché l’immobile di proprietà resta la pietra angolare della sicurezza economica.

La casa è il luogo dove gestiamo la nostra famiglia, in cui rientriamo ogni giorno a sera dopo il lavoro e dove vogliamo sentirci bene con i nostri famigliari. La casa nel nostro Paese è uno degli acquisti più importanti di una coppia per iniziare la vita insieme. L’abitazione può essere proprietà di entrambi i coniugi oppure di uno solo dei due o, terza via, essere una casa di famiglia che viene ceduta alla coppia da una delle due famiglie in comodato d’uso. Cosa succede quando una coppia si separa, quando un matrimonio finisce?. Quali sono le infinite sfumature giuridiche di rivendicazione ovvero cosa ci indicano le norme che disciplinano l’utilizzo, il possesso, il diritto di abitazione e di successione in regime di comunione o separazione e ancora altro?. Ci rivolgiamo, senza affilare troppo i denti, al Avv. Maurizio Cardona, Avvocato Cassazionista e specializzato in diritto di famiglia e matrimonialista e Presidente di DiAction (Associazione Divorzisti italiani) con sede a Torino.

Avv. Cardona alla luce di tutte le sue esperienze come Avvocato matrimonialista, cosa rappresenta e come definisce la casa coniugale in termini umani non solo di diritto?

Beh, la casa coniugale è probabilmente l’habitat più importante della nostra vita. Il luogo dove vivono i nostri figli, dove immaginiamo di essere famiglia, dove immaginiamo la vita che prende forma, è forma della nostra identità. La Cassazione la definisce il luogo che designa l’habitat domestico inteso come il fulcro degli affetti, degli interessi, delle abitudini, degli incontri e dello svolgimento delle attività quotidiane di una famiglia. È la casa che ci ricorda continuamente chi siamo e chi siamo stati. Ci sono oggetti che ci rimandano immediatamente a quel luogo, a quel momento. La casa è una sensazione, uno stato d’animo, la storia delle nostre vite. Della casa ti ricordi tutto. Un divano, una cucina, quel quadro che è sempre lì davanti a te quando entri. È casa tua. E’ lo spazio e il tempo dei nostri ricordi. Oggi è anche il nostro luogo di lavoro, lo spazio nel quale viviamo maggiormente la nostra vita, il luogo delle nostre abitudini. La casa è sempre presente nell’immaginario collettivo degli italiani, un punto fermo. La stessa Costituzione ne parla all’art. 47 considerando la casa come una necessità e quasi come una sorta di diritto, un diritto all’abitazione. Sul piano sociale la casa rappresenta ancora uno status. In Italia lo sanno tutti, è ancora l’investimento preferito degli italiani. È ancora il bene rifugio che porta milioni di italiani a ritenere la casa come un bene “sicuro”, un bene che viene ritenuto in grado di preservare nel tempo il suo valore. Ma la casa è molto di più di un investimento. A volte è un punto di arrivò ma forse può essere considerato ancor più un punto di partenza, il luogo degli affetti, il luogo della nostra storia, dove tutto comincia e ritorna.”

Cosa dice la legge sul punto di chi spetta la casa familiare in caso di separazione?

Proprio per l’importanza che diamo alla casa quando si tratta di affrontare una separazione questa è spesso oggetto di dispute importanti. Tranne qualche eccezione nessuno vorrebbe rinunciare alla propria casa familiare. Certo qualche volta quando quel luogo è motivo di tristi ricordi allora quel luogo lo si vorrebbe addirittura abbandonare, perchè anche alla casa si può associare l’idea della prigione. In generale però l’idea di dover lasciare la casa nella quale abbiamo riposto tutti i nostri sogni, dove abbiamo investito tutti i nostri soldi e magari anche quelli dei genitori è difficile da accettare. Quando si affronta una separazione due sono i punti maggiormente controversi quelli che fanno più paura e su cui ciascuno è pronto a battersi di più: la paura di perdere i figli e anche la paura di dovere lasciare la casa. A volte l’idea di dover lasciare la casa e i figli è anche superiore alla paura di dover far fronte all’assegno di mantenimento. Forse è bene ricordarlo ma per “casa familiare” si deve intendere solo quella dove la famiglia viveva prima della separazione e non può riferirsi invece ad altri immobili come, ad esempio, la seconda casa, al mare o in montagna. Il diritto di abitazione collegato all’assegnazione ha dunque ragione d’essere solo nell’immobile ove, prima della separazione, i figli vivevano. Diciamolo subito. La legge non dice esplicitamente come dipanare tutti i possibili problemi. La legge ci dice soltanto che la casa può essere assegnata dal giudice ad uno dei due genitori che normalmente è quello che ha con i figli una relazione di maggior cura o che passa più tempo con loro. Parliamo dunque di un provvedimento che viene emesso a favore del genitore collocatario dei figli e con l’intento di tutelarli da un trasferimento e un cambiamento che verrebbe a pesare sugli stessi già provati dalla separazione di mamma e papà. Se i figli staranno prevalentemente con un genitore ecco che l’assegnazione della casa diventa pertanto un passaggio consequenziale pressoché automatico anche se occorre sempre una richiesta.”

Quindi sono quasi sempre i padri che devono fare le valigie?

Prevalentemente si!!. Poiché nella quasi totalità dei casi la giurisprudenza individua nella madre la figura di riferimento principale va da sé che anche la casa venga assegnata quasi sempre alla madre. Ma qui dobbiamo essere chiari. Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli, a che questi possano continuare a vivere dove hanno sempre vissuto e fargli evitare ulteriori traumi che potrebbero derivargli dal cambio di casa e di abitudini. Si tratta pertanto di un istituto finalizzato alla loro tutela, benché il destinatario della assegnazione sia un genitore. L’assegnazione della casa familiare spetta dunque al genitore collocatario prevalente dei figli minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti o portatori di handicap grave. È il mantenimento del legame con le loro consuetudini e relazioni sociali collegate a quel luogo che si vuole tutelare. Qualche volta questo viene percepito come un privilegio a vantaggio della ex come se fosse l’ex l’obiettivo della tutela giuridica. Ma la legge in realtà dice che il giudice provvede sul punto tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Certo il fatto di poter usufruire della casa familiare è un vantaggio di cui anche in caso di mantenimento bisogna tener conto ma sono i figli che il legislatore ha voluto tutelare. Come abbiamo detto e come è facile intuire, è su questo tema che si consumano le maggiori paure ma anche i più grandi scontri coniugali in caso di separazione.
Le domande sono sempre le stesse. “Avvocato come posso separarmi realmente lasciando i miei figli?”. Quelle dei padri: “Quando li vedrò? E dove andrò a stare?.”

“L’assegnazione quanto dura”?. “Ma la casa rimane mia o anche mia”?. Devo lasciare la casa coniugale e continuare a pagare il mutuo”?

Ecco appunto, il mutuo chi lo paga?-Immaginiamo una situazione nella quale entrambi siano comproprietari al 50% e con un mutuo condiviso. In tali casi si fa fatica ad accettare l’idea di dover lasciare la casa magari per almeno 20 anni e di dover continuare a pagare il mutuo. L’assegnazione non attribuisce il diritto di proprietà – che invece resta dei legittimi proprietari o comproprietari – ma garantisce il diritto di potervi abitare con i figli almeno fino a quando non saranno autosufficienti o non saranno andati via di casa. E questo vale anche per i conviventi con figli. Questo è un punto nodale che rischia di non essere ben compreso e accettato e che il più delle volte mantiene vivo il conflitto negli anni anche quando la vicenda giudiziaria è ormai chiusa. C’è anche chi si sforza di ricercare altre soluzioni proprio per stemperare il conflitto ma non è mai facile. Di fronte a tutto questo molte persone decidono di soprassedere e di rinunciare a separarsi. Non ce la possono fare ad affrontare tutto questo fardello. Vero è che nella maggior parte dei casi la casa è assegnata alla madre. Questi sono i fatti. Le ragioni storiche e culturali le immaginiamo evidentemente tutti ma in epoca che pone al centro l’idea di uguaglianza ogni storia dovrebbe trovare una soluzione personalizzata perché gli automatismi spesso non risolvono nulla. Qual’è la durata dell’assegnazione della casa coniugale?. L’assegnazione non è un diritto a vita e certamente viene meno quando l’assegnatario cessi di vivere nella casa o di viverci stabilmente, ma in particolare quando viene meno il collegamento con i figli e in particolare quando vanno via di casa o quando diventano autosufficienti. I figli devono poter beneficiare della casa fintanto che sono minorenni e avranno diritto al mantenimento o ancora quando sono già maggiorenni ma non ancora autosufficienti. Anche qui le questioni oggetto di lite sono molteplici. Basti pensare al figlio ormai grande che non studia o non si attiva adeguatamente per trovare un lavoro. Se un ragazzo è iscritto all’università è evidente che debba poter contare sul sostegno dei genitori e sulla casa ma è altrettanto evidente che questo diritto debba venir meno se parliamo di un figlio non diligente e non meritevole di questo aiuto, come avviene nel caso in cui desse solo un esame all’anno o non ne desse affatto. Così avverrebbe anche nell’ipotesi in cui abbia smesso di studiare e non sia dia da fare per cercare un lavoro. Su questo la Cassazione è stata molto chiara: si perde il diritto al mantenimento. Dopo i trent’anni si presume infatti che il suo stato di disoccupazione sia dovuto a inerzia e non già ad assenza di occasioni, ragion per cui, raggiunti i 30 anni, egli perderebbe definitivamente il mantenimento. In alcuni casi potrebbe bastare un contratto di lavoro a tempo determinato, se di apprezzabile durata, e con una retribuzione adeguata. In questi l’assegnazione della casa viene meno così come quando l’ex coniuge va a vivere stabilmente altrove.”

E cosa avviene Avv. Cardona quando l’assegnatario convive nella casa coniugale con un nuovo compagno? Perde il diritto alla casa?

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare invece quando l’ex coniuge vive stabilmente con un altro compagno nella casa coniugale, non perde il diritto all’assegnazione della casa familiare proprio perché l’assegnazione è un provvedimento a favore dei figli e non dell’ex coniuge o convivente. Il proprietario non assegnatario non è legittimato a domandare una indennità di occupazione al convivente more uxorio del coniuge assegnatario della casa.”

È quindi possibile che un nuovo compagno si trasferisca nella ex casa coniugale con i figli anche se la proprietà fosse dell’ex marito che ormai vive da un’altra parte?

Si, proprio così. Vero è che tale fatto se non incide sul diritto all’assegnazione della casa potrebbe invece incidere sul diritto a percepire l’assegno di mantenimento o sull’assegno divorzile o sulla quantificazione degli stessi.”

Ma allora quali soluzioni si possono trovare per individuare soluzioni condivise che non siano troppo gravose?

Non esistono soluzioni precostituite. La verità è che se ci si vuole separare e la casa è solo una bisogna avere la forza di confrontarsi seriamente su tutte le possibili soluzioni che si potrebbero ragionevolmente trovare pensando evidentemente al bene dei figli. Bisogna certamente considerare anche le condizioni patrimoniali delle parti e l’età dei figli. L’assegnazione della casa è un diritto ed è una possibilità se sussistono certe condizioni ma questo non esclude, qualora ce ne siano le possibilità, di concordare soluzioni alternative che dovrebbe comunque tenere in considerazione sempre l’interesse dei figli. Il problema principale è quello di riuscire a parlarsi e ad avere un confronto civile anche quando si sta vivendo un momento complicato. Il problema sta proprio qui. Mettere insieme gli aspetti pratici di una separazione che dovrebbe avere tempi e confini precisi collegati alla vita quotidiana di ciascun componente della famiglia, con quelli legati alla interiorità e alla necessità di elaborazione della sofferenza. Ognuno di questi aspetti viaggia per conto proprio e ha bisogno dei suoi tempi.”

Ma è anche possibile dividere la casa coniugale tra entrambi i coniugi o ex conviventi? Se c’è una casa grande non è prevista un’assegnazione di una sola parte della casa?

In caso di separazione, nell’interesse primario dei figli, è possibile anche l’assegnazione parziale della casa familiare qualora tra i due coniugi sussista una scarsa conflittualità o nel caso in cui l’unità abitativa sia del tutto autonoma o sia comunque agevolmente divisibile. Cosa succede invece quando la casa è di famiglia, cioè che appartiene ai suoceri?. Se è concessa in comodato per le esigenze abitative del figlio e del suo nucleo familiare e non vi è un termine di scadenza, l’assegnazione della casa prevale sul diritto alla restituzione a meno non vi siano esigenze impreviste e urgenti. I suoceri quindi, in tali casi, non potranno pretendere la restituzione della casa che sia stata evidentemente assegnata alla ex moglie o compagna del figlio. Secondo la Cassazione il comodante deve, quindi, concedere l’immobile anche dopo l’eventuale separazione, a meno che non intervenga un suo urgente e imprevisto bisogno. La tutela dei figli prevale sempre anche rispetto alle ragioni della proprietà.”

Virginia Sanchesi

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