di FABRIZIO UBERTO
Dovrebbe essere la festa della serenità, dei sentimenti e di una ritrovata unione familiare. Ed è un fatto che per molte persone sia così, qui non si vuole certo generalizzare.
Ma è altresì vero che da tanti altri il Natale, questo giorno così importante che celebra la nascita del più straordinario dei benefattori, non sia vissuto nell’ottica cui poc’anzi accennavo.
Lo desumiamo ad esempio dal livello di spiccato nervosismo che, in taluni casi, abbiamo constatato nei luoghi di maggior aggregazione, dai bus ai grandi magazzini.
In questi giorni abbiamo visto persone alzare la voce, inalberarsi per questioni di poco conto, in un contesto di elevata ” elettricità” generale e in paradossale contrasto con lo spirito stesso del Natale.
Ma da dove nasce tutta questa suscettibilità, tale da rasentare la nevrosi? Nasce certamente, come ho già avuto modo di dire, dal carattere di ” festa comandata” di questa ricorrenza, che deprime le persone sole o indigenti, ma anche altre che si sentono costrette a celebrarla, ma cui vorrebbero, per svariate ragioni, sottrarsi. Ma scavando ulteriormente nell’animo umano, questa insofferenza deriva altresì da un senso di inadeguatezza. Non pochi individui si sentono ” inadatti” a questa Festività, soprattutto in relazione al suo significato più nobile, di celebrazione dell’amore, dell’altruismo e della compassione. Nell’approssimarsi del 25 dicembre, l’uomo d’oggi chiede a se stesso, sia pure in modo sotterraneo, talvolta inconscio, se e in che misura il suo stile di vita corrisponda al messaggio evangelico, accorgendosi in non pochi casi, di averlo ” disatteso”.
Ma tale amara consapevolezza, lungi dal confinarsi nei limiti di una dimensione individuale, ben si può estendere a livelli più alti, quelli dei rapporti tra Stati e tra le religioni.
Perché se molti hanno difficoltà ad accettare ” lo straniero” che è in se stessi, come potrebbero accogliere chi si vive come “nemico”, per la sua presunta diversità o per le peculiari rivendicazioni? Quest’ultima, a ben vedere, è la causa di tante sofferenze, guerre e rappresaglie. Ci riferiamo a quell’incapacità di amare anche l’avversario, o quanto meno di trovare con lui terreni di accordo o mediazione, a quella ” pietas” in definitiva, in nome della quale Qualcuno più di duemila anni fa, ha accettato un martirio, nonché sacrificato per tutti noi, la Sua breve ma nobile Esistenza.