Domande:
Ci parli di lei come scrittore.
Ho iniziato a scrivere quasi per gioco, durante i mesi di servizio civile presso la Lega Tumori di Milano. Ho sempre letto tantissimo e ho provato a dare un prima e un dopo, attualizzandolo, a un racconto di Agatha Christie. Ne è venuta fuori una zozzeria, ma ho provato per la prima volta il gusto di provare a raccontare storie mettendoci dentro qualche spunto di riflessione per me importante. È stato poi l’incontro con veri professionisti del settore, diversi anni dopo, a farmi aprire gli occhi su tutta una serie di aspetti che ignoravo.
La trama del libro com’è nata?
È stato il direttore editoriale della collana Giungla gialla, Fabrizio Carcano, che, dopo aver completato l’editing del precedente “Il dolce sorriso della morte”, mi ha detto che a suo parere il personaggio di Marco Bordoni, un serial killer inatteso che si aggirava nella periferia di Milano, era molto forte e avrebbe meritato di tornare. Ho deciso di raccogliere la sfida, con tutta una serie di vincoli perché un protagonista di quel tipo è da maneggiare con cura, per cercare di farlo evolvere senza snaturarlo. Ho inserito personaggi nuovi come Bea la tassista, che vuole sembrare forte, ma nasconde una profonda fragilità, e l’ispettore Lupatelli che si troverà a dover scegliere da che parte stare.
Un killer empatico a tratti anche non cattivo, cosa ha voluto incentivare in questo libro?
Cattivi si nasce o si diventa? Forse ruota tutto attorno a questa domanda, in fondo. Si sente spesso parlare della figura del mostro che, se ci pensiamo, alla fine rassicura perché non si percepisce come qualcuno di reale e vicino a noi. Io penso che ognuno abbia la sua storia e si porti dietro, inevitabilmente, il contesto dove è nato e cresciuto.
C’è un messaggio profondo in questo libro molto sociale, ce ne parli.
Io cerco sempre di veicolare, attraverso il noir che a mio parere si presta molto, spunti di riflessione sul mondo che ci circonda. In questo, in particolare, ho denunciato la spettacolarizzazione di casi di cui sentiamo spesso parlare in tv o sui giornali, nei quali della vittima spesso non c’è un vero e reale interesse, ma solo il suo sfruttamento in attesa del prossimo caso a sensazione.
Come si arriva ad essere un autore Mursia?
Senza particolari conoscenze o scorciatoie. Ho contattato Fabrizio Carcano che ha valutato quello che sarebbe diventato “Il dolce sorriso della morte”. Essendogli piaciuto mi ha detto che sarebbe passato alla signora Fiorenza Mursia in persona, la figlia del fondatore e direi pioniere dell’editoria Ugo, la quale ha dato il suo benestare e da lì tutto è iniziato.
Cosa consiglia ai giovani autori che si accingono a scrivere ora?
So che può sembrare scontato, ma assicuro che non lo è affatto: per prima cosa leggere, poi leggere e ancora leggere. Quando si pensa di essere pronti, maturi per provare a scrivere qualcosa penso sia fondamentale il confronto con esperti del settore, veri professionisti, con cui confrontarsi e crescere. L’editing, su cui so che si dibatte molto, penso sia necessario. È chiaro che parlo di un lavoro serio e non improvvisato come, troppe volte, mi è capitato di vedere.
Come si costituisce un giallo?
In realtà considero i miei noir psicologici. La differenza sta nel fatto che, come dicevo prima, il noir consente di raccontare la realtà che ci sta attorno, con tutte le sue storture e contraddizioni, senza dover depistare a tutti i costi il lettore o la lettrice in vista del colpo di scena finale. Nei miei ultimi scritti non mancano sorprese, ma non sono lo scopo principale che mi anima, anche se non posso negare che mi diverte confondere le acque e spiazzare!
Quali sono i punti di forza del libro secondo lei?
Penso l’introspezione psicologica dei personaggi. Scrivo sempre in prima persona, in soggettiva dal punto di vista, in questo libro, di Marco Bordoni, ma anche dell’ispettore Lupatelli e di Bea. Cerco di porre delle domande rispetto al dubbio se un assassino possa amare, se i buoni siano sempre e solo buoni, sulle tante sfumature che la vita presenta.
Progetti futuri
Ho proposto di recente a Mursia un nuovo libro molto forte, che per me chiuderà un po’ il cerchio. Inizierà con uno stupro di gruppo raccontato dal punto di vista della vittima, per tornare indietro dalla prospettiva femminile addentrandosi nelle dinamiche di una relazione tossica che ho approfondito in questi anni di lavoro sulla prevenzione contro la violenza di genere. Lo scorso 25 novembre abbiamo infatti presentato, primo nella storia, lo spettacolo tratto dal mio libro liberamente ispirato al femminicidio di un’amica di mia moglie in Parlamento. Non ci fermeremo per porre l’attenzione sui segnali di pericolo che possono davvero fare la differenza.
Di Manuela Montemezzani