Sul Naviglio, alla fine di viale Ludovico il Moro, si cela non un ponte, ma l’assenza concreta di una promessa, quella di una viabilità restituita alla normalità. Sono passati armai otto mesi dalla chiusura del ponte sul Naviglio, e oggi i residenti della Città Giardino parlano non più solo di disagi, ma di abbandono.
Mi sono recato personalmente sul posto per ascoltare le voci di chi ogni giorno deve fare i conti con un’amministrazione che, a detta di molti, sembra più interessata a sperimentazioni ideologiche – come la “città a 30 km/h” o la promozione di menù vegani – che a risolvere i problemi reali della popolazione.
“Ci sentiamo presi in giro,” mi racconta Laura, 56 anni, residente da oltre trent’anni nel quartiere. “Ci hanno chiuso il ponte e ci hanno lasciati così, senza una vera alternativa. Nemmeno una passerella ciclopedonale! Un palliativo, se pur ridicolo, che avrebbe dato modo di pensare ad una buona volontà da parte delle amministrazioni comunali”.
Nel frattempo, il silenzio del palazzo del potere è assordante. Dopo una timida dichiarazione dell’assessore e vicesindaco Alice Moggi, che parlava di ripristino celere della viabilità, tutto è tornato nel più totale oblio. E quel che resta del vecchio ponte, giace smontato e abbandonato sulla sponda del Naviglio. Una fotografia perfetta del degrado urbano e istituzionale.
“Io pago le tasse, ma in cambio non ricevo nulla,” dice un altro cittadino, visibilmente esasperato. “Nemmeno un’informazione chiara su cosa succederà. Solo propaganda e slogan.”
La situazione del traffico nella zona è ormai ingestibile, code, deviazioni, rallentamenti, e un aumento dell’inquinamento sono la quotidianità di un quartiere dimenticato. E mentre i cittadini chiedono soluzioni, la politica locale risponde con il nulla, o, peggio ancora, con passerelle mediatiche.
In molti ricordano che i pochi progetti funzionanti in città – piste ciclabili degne di questo nome, nuovi spazi pubblici – sono frutto dell’amministrazione precedente. Oggi, invece, Pavia sembra arrancare, guidata da un’amministrazione che appare più attenta ai titoli sui social che alla sostanza dei problemi urbani.