Negli ultimi anni, l’amministrazione di centrosinistra guidata dal sindaco Beppe Sala ha intrapreso una serie di politiche ambientali ambiziose con l’obiettivo dichiarato di ridurre l’inquinamento atmosferico e favorire una mobilità più “green” nella città di Milano. Tuttavia, dietro alla narrazione della sostenibilità, si è aperto un fronte di crescente malcontento popolare. Sempre più milanesi – soprattutto lavoratori, commercianti e residenti delle periferie – lamentano gli effetti collaterali di una visione ideologica che, in molti casi, appare scollegata dalle esigenze reali del territorio.
L’imposizione dell’ideologia ambientale
Tra le misure più controverse spiccano l’ampliamento dell’Area B e il mantenimento dell’Area C, zone a traffico limitato che restringono l’accesso ai veicoli ritenuti “inquinanti”. In teoria, queste restrizioni dovrebbero incentivare l’uso dei mezzi pubblici e ridurre le emissioni. In pratica, stanno colpendo duramente chi non ha le risorse per cambiare auto o adattarsi in tempi rapidi. Non si tratta solo di automobilisti, anche piccoli imprenditori, artigiani, fornitori e pendolari si ritrovano improvvisamente tagliati fuori dalla vita produttiva della città.
L’amministrazione ha inoltre sposato in pieno la linea dell’Unione Europea, che prevede la graduale eliminazione delle auto a benzina e diesel entro il 2035, spingendo in direzione della mobilità elettrica. Ma se da un lato le auto elettriche vengono celebrate come la panacea per tutti i mali, dall’altro iniziano ad emergere dubbi fondati sul loro reale impatto ambientale. La produzione di batterie, in particolare, è altamente energivora e comporta l’estrazione di materiali rari in condizioni spesso non sostenibili. Uno studio ha rilevato che la fabbricazione di una batteria agli ioni di litio può generare tra i 150 e i 200 kg di CO₂ per ogni chilowattora prodotto: un dato che sfida apertamente la retorica della “mobilità pulita”.
Un attacco all’economia urbana?
L’impatto economico delle restrizioni ambientali è tutt’altro che marginale. L’Area B – che copre quasi l’intero territorio cittadino – sta mettendo in ginocchio interi settori economici. Molti esercenti hanno denunciato un calo drastico del flusso di clienti, soprattutto quelli provenienti da fuori città. I lavoratori con mezzi non aggiornati vengono tagliati fuori, non per volontà, ma per impossibilità economica. Non tutti possono permettersi di acquistare un’auto elettrica o di rinnovare il proprio parco mezzi aziendale.
Queste misure, adottate senza un piano di transizione realmente inclusivo, rischiano di trasformare Milano in una città a due velocità: da una parte chi può permettersi di vivere secondo gli standard “green” imposti dall’alto, e dall’altra una fascia sempre più ampia di cittadini che restano indietro, esclusi da una mobilità selettiva che premia solo i più abbienti.
Le periferie dimenticate
Un altro tema caldo è la sicurezza urbana, questione sentita in particolare nelle periferie milanesi. Mentre il centro riceve attenzioni, progetti e riqualificazioni, le aree più decentrate restano spesso teatro di degrado, microcriminalità e abbandono. Eppure, di fronte a questa realtà, il sindaco Sala ha recentemente dichiarato che “il problema principale di Milano è l’ambiente, non la sicurezza”. Una frase che ha suscitato reazioni forti da parte dei cittadini, molti dei quali ritengono che l’ordine pubblico e il decoro urbano siano questioni ben più urgenti rispetto alla transizione ecologica calata dall’alto.
Una città divisa
Oggi Milano si trova a un bivio. Da un lato c’è la narrazione ufficiale di una metropoli proiettata verso il futuro, modello di sostenibilità e innovazione. Dall’altro, c’è la realtà quotidiana di migliaia di cittadini che si sentono dimenticati, penalizzati e addirittura ostacolati nella loro vita lavorativa e familiare. È sempre più evidente che senza un serio confronto con la cittadinanza, senza dati concreti e senza strumenti di supporto per chi è in difficoltà, ogni misura ambientale rischia di diventare uno strumento di discriminazione sociale anziché un progresso collettivo.
Milano merita una transizione ecologica che non sia solo di facciata, ma che parta dal basso, con soluzioni pragmatiche, accessibili e solidali. In caso contrario, il rischio è che la città diventi il simbolo di un ecologismo elitario, disconnesso dalla realtà, in cui a pagare il prezzo più alto siano sempre gli stessi, i lavoratori, i commercianti, le periferie.