“Case di Comunità”: il medico Leocata offre una riflessione in Lombardia

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Che cosa sono le Case di Comunità e qual è la situazione in Italia?

Le Case di Comunità (CdC) dovrebbero rappresentare il punto centrale della nuova rete assistenziale territoriale, il luogo fisico dove la medicina territoriale incontra il bisogno di cura degli utenti (cittadini) e, grazie ai servizi che dovrebbero essere presenti, potrebbero assicurare un’assistenza socio-sanitaria continua e completa.

La realizzazione di queste strutture, su tutto il territorio nazionale, era già prevista nel 2021.

La Fondazione GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) ha valutato negativamente l’avanzamento delle Case di Comunità previste dal PNRR, rilevando che solo una piccola percentuale è pienamente operativa e che l’avanzamento è molto disomogeneo a livello regionale, con alcune regioni come l’Emilia-Romagna e la Lombardia più avanti, mentre altre sono ancora ai “punti di partenza”. Un fattore critico segnalato è la mancanza di personale, come medici di medicina generale e infermieri di comunità, che sono fondamentali per il funzionamento delle strutture.

 

A che punto è la loro realizzazione in Lombardia?

‍Lombardia Sociale (11.10.24) comunica i seguenti dati: “in Lombardia, sono previste 216 CdC entro il 2026. Di queste,132 sono state identificate come già operative, anche se con possibili variazioni nell’effettiva operatività e nei servizi offerti (dati riguardanti 23 ASST sulle 26 lombarde). Il Piano Operativo Regionale prevede la realizzazione di 195 CdC entro il 2026. È importante notare che l’effettiva operatività e la fornitura di tutti i servizi previsti possono variare tra le diverse strutture”.

Seppure siano stati realizzati gli edifici, non è chiaro quali Servizi siano attivi e funzionanti e se il personale è presente in numero sufficiente e con adeguata formazione alla nuova attività.

A seguito della conclusione della seconda fase del progetto sull’analisi dei modelli organizzativi delle CdC in Lombardia (nel giugno del 2024) – promosso dal Dipartimento di Politiche per la Salute dell’Istituto Mario Negri di Milano – è stato evidenziato un quadro eterogeneo in termini di organizzazione, qualità dei Servizi e risorse umane. Alcune strutture mostrano una discreta capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini, mentre altre si trovano ancora in una fase iniziale. Tra le difficoltà rilevate già nel 2023 e, sembra, in via di miglioramento, vi sono: la difficoltà di reperire i medici di medicina generale (MMG) e i pediatri di libera scelta (PLS), la necessità di superare il vecchio modello dei poliambulatori, il nodo dell’integrazione tra i diversi Servizi e operatori e una modesta partecipazione dei Comuni. Sebbene nessuna delle CdC risponda pienamente ai requisiti previsti dagli standard regionali e nazionali, molte ne soddisfano almeno la maggior parte, tra cui l’attivazione del Punto Unico di Accesso (PUA – vedi di seguito), la presenza di nuove figure professionali come gli infermieri di comunità, la disponibilità del Servizio di continuità assistenziale, dell’assistenza domiciliare e degli ambulatori specialistici.

Le differenze riscontrate tra le CdC possono essere attribuite a diversi fattori, tra cui: le specificità territoriali, la realizzazione delle strutture a partire da Servizi già esistenti e diversi nei territori per risorse e organizzazione, i tempi stretti per un’adeguata programmazione a livello locale.

Inoltre, il progetto è stato avviato in un momento di difficoltà per il Servizio Sanitario Nazionale, caratterizzato da una rilevante riduzione del personale, soprattutto a livello territoriale. Si veda la ridotta presenza di MMG in alcune aree territoriali urbane ed extra-urbane, così come di medici di guardia medica e di medici per la psichiatria e la neuropsichiatria infantile e adolescenziale, i giovani specializzati rifuggono da molte di queste realtà lavorative perché poco appetibili come remunerazione e tutele (non si trovano i sostituti in caso di malattia o di necessità di ferie, proprio perché sono sotto organico) ed anche il personale infermieristico e dell’assistenza socio-sanitaria è numericamente molto carente ed, in alcuni casi, poco formato sulle nuove competenze necessarie (pensiamo al tentativo di Bertolaso di importare infermieri dall’India – migranti che saranno graditi a Salvini e Meloni???)

Le diverse Comunità dei territori: ASST, ATS, Comuni, Associazioni di Cittadinanza Attiva e del Terzo Settore si confrontano poco o parlano linguaggi diversi, cosa che avviene anche tra gli operatori sanitari di una stessa ASST, mentre il coinvolgimento di tutte le parti in gioco dovrebbe essere maggiore e più organico.

 

Quindi vi è uniformità tra quanto avviene in Lombardia e il resto d’Italia?

Una delle differenze fondamentali tra Lombardia e il resto di Italia è che le CdC previste in Italia all’interno dei Distretti Sanitari, in Lombardia afferiscono alle ASST (Aziende Socio Sanitarie Territoriali) mentre nelle altre regioni d’Italia le CdC e gli Ospedali – tranne alcuni definiti Aziende Ospedaliere (AO) – afferiscono alle ASL (Aziende Sanitarie locali) – in Lombardia ATS (Agenzie Territoriali per la Salute) con ben altre e differenti funzioni.

In Lombardia le USSL (Unità Socio Sanitarie Locali) anni fà vennero trasformate in Aziende Sanitarie Locali (ASL). Questo, già allora, è stato un passaggio critico, la struttura pubblica che dovrebbe garantire la salute è diventata una ‘azienda’ e i “cittadini/pazienti” sono diventati ‘clienti’ (ma “La salute non è una merce”, P. Vineis e S. Capri, Bollati Boringhieri!) ed in un contesto nel quale il privato con strutture ospedaliere agili e ambulatori sparsi sul territorio (anche all’interno di supermercati) detta sempre più legge; nel mentre molti cittadini non si rendono per nulla conto di quanto sta accadendo e magari sono contenti di potere fruire di prestazioni sanitarie con il Servizio Sanitario Regionale presso strutture private e allo stesso (apparente) costo, per loro ma più elevato per la Regione e, quindi, il costo più elevato in seconda battuta ricade sempre sulle tasche dei cittadini, per esempio con l’aumento delle tasse.

I grandi ospedali sono stati trasformati in Aziende e quelli piccoli sono diventati presìdi delle ASL.

A seguito della normativa nazionale, la Lombardia ha separato le strutture ospedaliere dalla sanità territoriale, aggregando alle strutture ospedaliere anche dei servizi sanitari territoriali e svuotando le ASL (oggi ATS), ridotte a meri organi di gestione e controllo.

 

Quali sono i servizi previsti all’interno delle CdC in Lombardia e quali sono le figure che entreranno in queste?

Le CdC dovrebbero contribuire ad assicurare a tutti l’accesso ai Servizi essenziali di prevenzione e di cura. I Servizi Sociosanitari sono un bene comune e se i beni comuni sono quelli che servono a garantire la soddisfazione dei diritti fondamentali, questi dovrebbero/devono essere accessibili a tutti (nessuno può essere escluso).

Tabella 1 – servizi previsti all’interno delle CdC

Le CdC (almeno 1 ogni 50.000 abitanti) dovrebbero svolgere le seguenti attività:

Prelievi e vaccinazioni.

Cure primarie e continuità assistenziale (MMG e PLS – Medici di Medicina Generale e Pediatri di Libera Scelta – per garantire raccordo con medici specialisti e per migliore presa in carico dei pazienti; Servizi infermieristici di supporto ai MMG e centrale infermieristica di monitoraggio e coordinamento dei percorsi di cura; area dedicata a continuità assistenziale – Guardia Medica – attiva di notte e in giorni festivi).

Ambulatori specialistici (cardiologia con una elettrofisiologia, eco-doppler cardiaco e dei tronchi sovra-aortici, cicloergometro per i test cardiovascolari da sforzo; pneumologia con Rx torace, spirometria e ossimetria; diabetologia; oncologia per presa in carico di pazienti che necessitano di follow up periodico; ortopedia per raccordo tra strutture ospedaliere e medicina territoriale; oculistica).

Programmi di prevenzione e di promozione della salute (es. educazione alimentare, gruppi di cammino, sensibilizzazione all’adesione allo screening, ecc. – erogati anche in collaborazione con Medicina di Base – MMG e PLS, Servizi sociali comunali e associazioni di volontariato).

Consultori (Servizi per la promozione e la tutela della donna, del bambino, della coppia e della famiglia, erogati da ginecologi, psicologi, assistenti sociali, assistenti sanitarie).

Servizi Sociali del Comune (aree con i Servizi dedicati ai minori, agli anziani, ai disabili e il raccordo con il terzo settore presente su quel territorio.

Assistenza Domiciliare Integrata (ADI – rivolta a persone che si trovano in situazioni di fragilità e non autosufficienza parziale o totale, temporanea o definitiva; impossibilità a deambulare, che non permette di raggiungere i presìdi sanitari ambulatoriali; condizioni abitative che garantiscano la possibilità di praticare l’assistenza a domicilio).

Sportelli multifunzionali per informazioni e orientamento – raccolta delle domande di accesso ai Servizi, Centro Unico di Prenotazione, scelta e revoca – iscrizione al Servizio Sanitario Regionale (SSR), di scegliere e cambiare il Medico di Medicina Generale o il Pediatra di Libera Scelta, richiedere la Tessera Sanitaria, richiedere e rinnovare le esenzioni sanitarie, ecc..

La normativa prevede l’istituzione di due tipologie di CdC: ‘Hub’ e ‘Spoke’, in base alla grandezza del territorio e al numero degli abitanti e con attività obbligatorie e facoltative; entrambe devono garantire Servizi di assistenza primaria sul territorio.

Cercando di tradurre nel concreto questi ‘inglesismi’, la Hub è la struttura di riferimento, completa nelle sue dotazioni di servizio e punto di riferimento per la programmazione sanitaria, quella principale nell’erogazione dei Servizi sanitari, deve fornire pure attività specialistiche e di diagnostica di base; la Spoke è l’articolazione territoriale con dotazione di servizi sanitari più ridotta e per i servizi più diffusi sul territorio (il numero sarà stabilito dalle singole regioni).

 

 

Che cosa sono il PUA e le COT?

Le CdC dovrebbero costituire il punto di riferimento continuativo per la popolazione: qui dovrebbe essere possibile trovare un Punto Unico di Accesso (PUA), che dovrebbe operare in stretto contatto con le Centrali Operative Territoriali (COT) e per l’accoglienza, l’informazione e l’orientamento del cittadino.

Nell’ambito di ogni CdC dovrebbe essere presente un PUA al fine di garantire l’approccio integrato nella risposta ai bisogni sin dall’accesso del cittadino alla struttura sanitaria territoriale; questo dovrebbe essere un Servizio rivolto prioritariamente alle persone ‘fragili’ e in situazione di disagio e finalizzato a facilitare un accesso unificato alle prestazioni sanitarie, sociosanitarie e sociali; dovrebbe costruire percorsi sui bisogni della persona; dovrebbe mirare a migliorare le modalità di presa in carico unitaria e ad eliminare o semplificare i passaggi per l’accesso e la fruizione dei Servizi; dovrebbe essere uno dei luoghi dell’integrazione socio-sanitaria, professionale e gestionale; nella CdC, il PUA dovrebbe avere una elevata “visibilità” fisica e digitale; dovrebbe avere degli spazi «riservati» per colloqui e spazi per funzioni di ufficio (raccolta informazioni, segnalazioni, archivi digitali, dotazione informatica e di comunicazione);

Il PUA deve essere operativo dal lunedì al sabato, almeno 6 ore al giorno. L’accesso può avvenire spontaneamente oppure su indicazione di qualsiasi nodo della rete sanitaria, socio-sanitaria o sociale, laddove si presenti una situazione che richieda un approccio integrato di presa in carico.

Le COT (1 ogni Distretto) – sono punti situati all’interno dei Distretti e che dovrebbero facilitare l’accesso (fisico e digitale) dei cittadini alla rete dei Servizi sanitari, socio-sanitari e sociali, orientando e accompagnando il cittadino nel suo percorso assistenziale senza intoppi; esse dovrebbero coordinare i Servizi domiciliari con gli altri Servizi sanitari, assicurando la cooperazione tra ospedali e rete di emergenza-urgenza; dovrebbero garantire e coordinare la presa in carico dei pazienti ‘fragili’, rilevando i bisogni di cura e assistenza e garantendo la continuità del percorso assistenziale tra Ospedale e Territorio con il coinvolgimento degli Enti Locali (Uffici di Piano) e degli Enti del Terzo Settore; dovrebbero essere dotate di sistemi di interconnessione con tutte le strutture presenti sul territorio.

 

Come si accede alle CdC, al PUA e alle COT?

Alle CdC, al PUA e alla COT, ogni cittadino dovrebbe potere accedere liberamente e senza richiesta del MMG e del PLS. Tuttavia, non essendo il nuovo percorso di facile accesso, sarebbe opportuna la redazione e la stampa di una Carta dei Servizi della ASST con tutte le indicazioni inerenti sia le tipologie di servizi sanitari garantiti e i relativi orari di servizio sia le allocazioni geografiche ed anche una «elevata “visibilità” fisica e digitale», il che vuol dire che il raggiungimento del luogo fisico e il sito stesso devono essere ben indicati e in modo accessibile a tutti i cittadini (giovani e anziani, alfabetizzati e no, italiani e migranti); in merito alla «“visibilità” digitale», bisogna considerare che, ancora oggi, una certa parte dei cittadini – e non soltanto anziani – non è sufficientemente alfabetizzata in informatica, quindi sarebbe assolutamente necessario che nel luogo fisico ci sia del personale che possa assistere i cittadini bisognosi di supporto.

 

È previsto che la figura del MMG e del PLS debba essere presente nelle CdC?

La presenza e le funzioni di queste figure mediche nella CdC sono previste e regolate dalla normativa. Tale situazione dovrebbe anche garantire un canale preferenziale di comunicazione tra questi medici e gli altri specialisti operanti nella CdC e anche con gli altri che operano negli ospedali di riferimento. Non sono state reperite statistiche su quanti medici di base riuscirebbero a svolgere delle ore di lavoro anche nelle CdC; il lavoro che i MMG e i PLS svolgono in presenza con i loro assistiti, nel loro ambulatorio privato, è soltanto una parte di tutte le loro incombenze giornaliere. Si ritiene che le figure del MMG e del PLS siano cruciali nel garantire un livello di base per la salute dei loro assistiti. Nella loro attività quotidiana è aumentata molto la burocrazia e si è ridotto il tempo dedicato ai loro assistiti e al ‘contatto’ (anche fisico) con loro. Sull’altro versante, quello ospedaliero, i medici che vi operano – specie in alcuni reparti – sono in numero insufficiente, per cui a fatica garantiscono le loro prestazioni specifiche e, inoltre, difficoltoso risulterebbe interfacciarsi regolarmente e in modo diretto con i MMG e i PLS. Le relazioni tra le varie figure mediche, poi, non sono ‘automatiche’ già adesso e vanno costruite e con attenzione nel caso di un nuovo sistema operativo sanitario, così come vanno ricostruiti e preparati i loro ruoli e le loro mansioni nell’ambito di queste strutture (le CdC).

Bisogna tenere conto che la carenza nel settore sanitario, regolato sempre più da un ‘bizantinismo normativo’ (leggi, decreti e regolamenti sempre più arzigogolati e di non facile lettura neanche per gli addetti al settore) e che essa non riguarda soltanto l’ambito medico ma anche quello infermieristico, degli assistenti sociali e degli educatori professionali. Queste ultime tre figure, oltre ad essere carenti dal punto di vista numerico, vanno formate – specie se in giovane età e con poca esperienza – anche per la gestione di problematiche non soltanto prettamente sanitarie ma anche e soprattutto socio-sanitarie e sociali.

Ritornando ai medici, è sotto gli occhi di tutti il fatto che i giovani laureati e i giovani specializzati tendono a fuggire dal settore pubblico per gli stipendi ridotti e per turni pesanti (i medici italiani sono i peggio pagati d’Europa) e, se entrano nel sistema sanitario pubblico, rifuggono da medicina d’urgenza, psichiatria e neuropsichiatria infantile e adolescenziale (soltanto per fare degli esempi); non vogliono fare né i MMG o i PLS – sia per la burocrazia correlata a queste attività sia per le spese di gestione legate alla loro attività libero-professionale, sia per l’assenza di ferie e di malattia – né i medici di guardia medica, attività faticose e poco redditizie. Un sistema sanitario nuovo va costruito tramite la cooperazione tra le varie strutture, in particolare università e ospedali e territorio, al fine di formare e fare crescere dei professionisti motivati e adeguati al sistema che si vuole realizzare. Ippocrate, il cui giuramento forse non si fa più al momento dell’iscrizione all’Ordine dei Medici, non insegnava ai giovani a ‘fare soldi’ e questi – pur necessari – non possono essere l’incentivo, dimenticando o mettendo in secondo piano un servizio umano, etico e professionale ad una persona bisognosa di essere ascoltata, compresa e curata. Nella realtà del mondo medico, molti preferiscono il privato e/o operano, impunemente e contestualmente sia nel pubblico che nel privato!!!.

 

E gli Ospedali di Comunità (OdC) che cosa sono e a che cosa servono e come si accede?

Gli OdC (almeno 1 per ogni ASST) dovrebbero essere delle strutture di ricovero per ‘cure intermedie’ che si collocano tra il ricovero ospedaliero tipicamente destinato al paziente acuto e le cure territoriali. Dovrebbero garantire ricoveri di breve durata (massimo 30 giorni), destinati a pazienti che necessitano di interventi sanitari a bassa intensità clinica, di livello intermedio tra la rete territoriale (cura domiciliare) e il ricovero ospedaliero. Questi possono costituire un’alternativa all’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) nei casi in cui questa non sia possibile o per mancanza di un supporto familiare o perché necessaria un’assistenza infermieristica continuativa. Dovrebbero accogliere pazienti prevalentemente anziani con malattia clinicamente stabilizzata, prognosi definita, ricoverati e dimissibili dall’Ospedale per acuti, ma in condizioni cliniche che non permettono ancora il rientro e l’assistenza al proprio domicilio, consentendo altresì alle famiglie di avere il tempo necessario per adeguare l’ambiente domestico e renderlo più adatto alle esigenze di cura dei propri famigliari.

Questi possono accogliere, inoltre, direttamente dal domicilio e su segnalazione del MMG, persone affette da patologie croniche e/o fragili con insorgenza di problematiche acute minori o riacutizzazioni che non necessitano di ricovero in Ospedale, ma per le quali non risultano sufficienti gli interventi di supporto forniti dal territorio.

L’ingresso nell’OdC dovrebbe avvenire su segnalazione del MMG, del Reparto ospedaliero di dimissione, del Pronto Soccorso o della COT del Distretto ASST competente per territorio.

 

E gli anziani hanno un vantaggio da parte di queste strutture ?

Da un punto di vista generale, questo sistema sanitario si presenta – almeno sulla carta – ben articolato, organizzato e regolato. Si è fatto cenno sopra alle difficoltà correlate al numero di strutture ancora oggi da realizzare e al personale, anche numericamente, carente. Ciò risulta molto problematico per i soggetti più fragili e più bisognosi di cure, e fra questi ci sono senzaltro gli anziani. Altro problema non di poco conto, in particolare nel caso di ASST che coprono un vasto territorio (in aree extraurbane e con piccoli comuni sparsi per chilometri), è quello della raggiungibilità delle strutture – definite territoriali – nel caso in cui i mezzi di trasporto siano carenti e/o di difficoltosa fruibilità e qualora i cittadini bisognosi dei servizi sanitari siano anziani con difficoltà negli spostamenti e/o che vivono da soli e no hanno parenti disponibili ad accompagnarli.

 

La CdC risolve il problema delle liste di attesa?

I cittadini spesso si trovano già da tempo disorientati e poi si scontrano sempre più spesso con liste d’attesa eccessive tanto che in alcuni casi rinunciano a diagnosi, cure e terapie, il dato – forse non ancora ben indagato – è drammatico; ci avvicineremo agli USA con regime assicurativo per chi può e la speranza di una morte almeno dignitosa per gli indigenti?

Le CdC dovrebbero operare, a seconda delle situazioni e quando non sono strutture ‘fantasma’, in modo assai diverso e tra due estremi: poliambulatori che dovrebbero offrire soltanto le prestazioni indicate – contrastando il sovraccarico degli ospedali – o presidi che dovrebbero produrre salute per tutte e tutti, riducendo le disuguaglianze sanitarie e basandosi sulla partecipazione delle reti formali e informali dalla comunità sociale in cui si trovano.

Tuttavia, con le citate e significative carenze di personale medico e infermieristico nel settore pubblico, non soltanto non si abbattono le liste di attesa ma alcune volte i cittadini sono costretti a raggiungere strutture sanitarie regionali pubbliche molto distanti dalla propria abitazione e site in altre ASST oppure – le persone abbienti – ricorrono al settore privato.

 

C’è il rischio che la CdC vada al privato anche per assenza di personale?

Le organizzazioni private possono partecipare alla realizzazione di funzioni pubbliche, ma questa deve essere inserita in un contesto più generale in grado di prendere in considerazione il complesso dei punti di vista; cruciale è il controllo e il contenimento delle logiche aziendalistiche e della massimizzazione del profitto da parte del privato e va tenuto bene in considerazione che le organizzazioni private non sono in grado di assicurare la regia complessiva dei Servizi che è necessaria alla integrazione fra dimensione sanitaria e sociale.

In merito alle organizzazioni del terzo settore, bisogna dire che esse hanno oggi un ruolo cruciale nella CdC, esse svolgono funzioni pubbliche per la comunità. In questo senso sono Case della Comunità.

Le CdC, se della comunità, non possono essere private, ciò seppure oggi si tenda alla esternalizzazione dei Servizi. Inoltre, tutti i cittadini e le istituzioni (cosiddette democratiche) dovrebbero riflettere e agire di conseguenza, partendo dalla considerazione che il terzo settore non può supplire alle carenze del Settore Pubblico ma dovrebbe essere soltanto di supporto e interazione…

 

C’è qualche altra considerazione da fare?

Alla situazione attuale si è arrivati lentamente negli anni, con una logica volta a complicare la struttura del Servizio Sanitario Nazionale e di quelli Regionali e anche a smantellare progressivamente il Settore Pubblico, depauperandolo di risorse umane e di fondi e cancellando la Sanità Universale e per tutti proposta per ultima da Rosi Bindi.

La attuale struttura delle ASST e delle CdC non è di facile lettura e fruizione, non soltanto da parte dei cittadini ma anche delle figure che operano nel settore. Non vi è, per esperienza personale, una opportuna e organica interazione tra i Servizi della ASST e anche nell’ambito delle stesse CdC, il numero di professionisti sanitari è carente come in tutto il Servizio Pubblico così come la loro formazione specifica e a 360 gradi.

Sarebbe stato necessario effettuare una programmazione realistica del Sistema Sanitario e Socio-Sanitario, ipotizzando la tipologia di personale sanitario necessario, il numero necessario per tutte le strutture, il badget disponibile, poi pensare alle strutture in sé e non come scatole vuote (con sperpero del PNR e del denaro pubblico) ed, infine ma non per ultimo, pensare alle motivazioni delle persone che dovrebbero operare nella Sanità Pubblica, facendola diventare accattivante.

In relazione alle CdC, va sottolineato che l’aspetto che va curato è quello della integrazione socio-sanitaria. Da un lato l’integrazione è richiesta dalle domande stesse di cura che vengono espresse dalle persone (soltanto ad es. relative alla salute sessuale e riproduttiva o alla salute mentale o alle domande relative alla non autosufficienza – per persone che vivono da sole e grandi anziani, l’assistenza domiciliare integrata e la diagnosi e la cura del diabete).

Tabella 3 – Determinanti sociali della salute.                       Dall’altro, l’integrazione è indispensabile per

I determinanti sociali della salute

sono le condizioni in cui le persone nascono, crescono, lavorano, vivono e invecchiano, i sistemi messi in atto per affrontare la malattia e l’insieme più ampio di forze che plasmano le condizioni della vita quotidiana.

attaccare i cosiddetti ‘determinanti sociali della salute’. A tal fine, servono politiche extra-sanitarie di riduzione delle disuguaglianze economiche (tenendo conto della relazione fra disuguaglianze di reddito e salute) e serve anche l’integrazione fra interventi sociali e sanitari.

Le differenze di salute riguardano più l’accesso alla diagnosi che la cura delle patologie; infatti, una volta riusciti ad entrare nel Sistema di cura, le cure funzionano. Il problema è prevenire lo sviluppo della malattia e su questo piano le disuguaglianze sociali contano. Occorre, pertanto, “andare verso” le persone più svantaggiate, cercando di incidere da prima e al più presto sui fattori di rischio (es. stress, sedentarietà, dieta ipercalorica), questi non

sono attaccabili dall’offerta di singole prestazioni sanitarie.

Per percorrere questa strada e raggiungere l’obiettivo è assolutamente necessario che le diverse attività – sociale e sanitaria – e le figure che le gestiscono si integrino, condividano e operino in sintonia. Pur non potendo ospitare tutte le azioni sociali e sanitarie necessarie, le CdC dovrebbero strutturarsi come presidio “prossimo e accessibile”, contemplare spazi di socialità e socializzazione, offrire servizi diversi e multidisciplinari (con squadre multiprofessionali che comunichino costantemente tra loro e con il coinvolgimento delle associazioni della cittadinanza sociale, le cooperative e le imprese sociali, le organizzazioni di volontariato e le reti informali e formali esistenti nel territorio) e cercare di arrivare a parti di popolazione che difficilmente si relazionano non solo con il Sistema dei Servizi ma anche con altri luoghi più tradizionali di partecipazione. Questa affermazione è ancora più valida nei contesti di più forte disagio e marginalità dove grava il peso dei bisogni materiali sul quotidiano, insieme alla sfiducia rispetto alle politiche pubbliche; in questi, le persone tendono a sacrificare ed a mettere da parte tutto quello che nell’immediato appare come secondario o non urgente, come l’attenzione alla cura in assenza di patologie evidenti e come ad esempio la cura del benessere personale.

 

Lascerei, infine, la parola ai cittadini in merito alla comprensione del testo sopra presentato, alla condivisione o meno dell’analisi esposta, al valutare l’accesso ai Servizi e la loro soddisfazione in merito alle prestazioni garantite; alle associazioni del terzo settore e dei cittadini suggerirei di mettersi insieme e monitorare l’evoluzione del nostro Sistema Sanitario a tutela del Diritto Universale della Salute.

Giuseppe Leocata

    

 

Documentazione consultata

* Percorso formativo su evoluzione della riforma L.R. 23/2015 e su attuazione del PNRR nel Sistema dei Servizi dell’ASST e sulle logiche e gli strumenti di co-programmazione e co-progettazione con gli attori del territorio – Emilio Gregori e Giovanni Viganò, Synergia, 2022 e 2023

* Case della Comunità in Lombardia: a che punto siamo – Analisi a cura del Dipartimento di Politiche per la Salute dell’Istituto Mario Negri – 10.09.2024

* Le Case della Comunità in Lombardia: un’indagine – Un contributo di A. Nobili, A. Barbato, G. Remuzzi a nome del Gruppo di Lavoro Progetto Case della Comunità Lombardia – A cura di Lombardia Sociale – 11 Ottobre 2024

* Case della Comunità. Alla ricerca di una ”nuova” nozione di pubblico – FORUM DISUGUAGLIANZE DIVERSITA’ – 2024

* Solo 2,7% Case di comunità pienamente operativo – Gimbe monitora il PNR Salute del primo trimestre 2025, la ‘riforma arranca’ – ROMA, 06 maggio 2025 – Redazione ANSA