📍 Genova • 🗓 1 maggio 2025
La sinistra grida al fascismo prima di conoscere i fatti. Poi, quando la verità emerge, si gira dall’altra parte. Nessuna scusa, nessuna autocritica. Solo la solita ipocrisia mascherata da superiorità morale.
La vicenda dell’aggressione denunciata dal sindacalista della Cgil a Genova, poi smentita dagli sviluppi investigativi come possibile simulazione di reato, è più di un brutto episodio. È uno specchio impietoso in cui riflettersi. E a pagarne le conseguenze non è solo il sindacato, ma un’intera classe politica – quella che dice di stare “dalla parte della verità” e poi si rifugia nella comoda ambiguità del “fascismo c’è comunque”.
Il 15 aprile scatta l’allarme: un sindacalista sarebbe stato aggredito da “fascisti” nel cuore di Genova. Immediate le reazioni: ordine del giorno votato all’unanimità in consiglio regionale, piazza mobilitata con cinquecento persone a Sestri Ponente, media in fermento. Solo che, come emerge poco dopo, l’aggressione potrebbe non essere mai avvenuta.
A quel punto, il castello crolla. Ma invece di assumersi la responsabilità per aver alimentato una fake news pericolosa, la sinistra chiede di ritirare in silenzio l’ordine del giorno approvato. E quando la maggioranza rifiuta – chiedendo coerenza, non vendetta – parte la controffensiva ipocrita.
Bucci: “La Regione si costituirà parte civile”
Il presidente Marco Bucci ha parlato chiaro in consiglio regionale: “Non è solo un danno d’immagine al consiglio, ma a tutta Genova e alla Liguria. Sarebbe bello che tutti i partiti, anche la minoranza, si costituissero parte civile. Dobbiamo dare un segnale forte, come abbiamo fatto per il Ponte Morandi.”
E ha ragione. Perché un’intera comunità è stata trascinata in una messinscena. Genova è finita sulle prime pagine nazionali per una bufala. Chi ha alimentato questa narrazione deve assumersi la responsabilità politica e morale.
Ma no, la sinistra non si smentisce: invece di chiedere scusa, alza una cortina di fumo ideologico. “Il fascismo esiste comunque”, “bisogna vigilare”, “restiamo antifascisti”. Slogan vuoti per coprire l’imbarazzo. E la cosa più grave è che usano l’antifascismo – patrimonio comune di tutti gli italiani – come scudo per non rispondere delle proprie colpe.
Una sinistra allergica alla verità
Non è la prima volta. La sinistra ha fatto dell’indignazione un’industria: gridare prima, verificare dopo (forse). Ma quando i fatti smentiscono la narrativa, non cambia mai atteggiamento. Si trincera, si giustifica, si presenta ancora una volta come l’unica custode della democrazia. E invece ha solo preso in giro migliaia di cittadini.
Questa finta aggressione è un boomerang politico. Non solo ha danneggiato l’immagine della città, ma ha infangato il dibattito pubblico. Ha avvelenato le relazioni tra istituzioni e cittadini. Ha svilito il significato della parola “fascismo”, che ora – a forza di essere strumentalizzata – rischia di non significare più nulla.
Il bluff scoperto
Mentre la magistratura fa il suo corso, l’evidenza politica è già chiara: c’è chi ha sfruttato questa storia per ottenere visibilità e per colpire l’avversario. E ora che il bluff è scoperto, invece di ammetterlo, la sinistra finge di non capire.
Non si smentiscono mai.
Non chiedono scusa. Non ritirano la solidarietà espressa. Non si pongono domande. E anzi, accusano chi pretende chiarezza di “fare propaganda”. Ma è propaganda pretendere che la verità venga rispettata? È “revisionismo” pretendere onestà da chi siede in consiglio regionale?
Conclusione
Chi strumentalizza la paura per fini politici è pericoloso quanto chi la diffonde. Chi gioca con la memoria storica per nascondere le proprie colpe, mina la credibilità dell’antifascismo stesso. Se la sinistra vuole davvero difendere la democrazia, deve cominciare col dire la verità. Anche quando fa male. Anche quando svela l’imbarazzo. Anche quando non conviene.
Perché oggi, più che mai, la credibilità si costruisce con i fatti. Non con gli slogan.
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