Domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025 gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari. Non si tratta di una semplice consultazione: in gioco ci sono principi e norme che riguardano diritti sul lavoro, regole di cittadinanza e rapporti tra Stato, cittadini e imprese. La domanda di fondo è: vogliamo abrogare – cioè cancellare – alcune leggi attuali oppure mantenerle così come sono?
I referendum sono di tipo abrogativo: votando Sì, si chiede che la norma venga eliminata (in tutto o in parte); votando No, si chiede di lasciarla in vigore. Perché l’esito sia valido, deve partecipare al voto almeno il 50% più uno degli aventi diritto. È un meccanismo che da anni rende difficile far passare un referendum, poiché l’astensione – spesso usata come strategia politica – ha lo stesso effetto del voto contrario.
Vediamo in dettaglio i cinque quesiti su cui si voterà.
Il primo quesito riguarda il tema dei licenziamenti ingiustificati. Chi sostiene il Sì vuole abrogare la parte del Jobs Act che ha limitato il reintegro nel posto di lavoro per chi viene licenziato senza giusta causa. In sostanza, tornerebbe in vigore la versione “forte” dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che prevedeva il reintegro automatico in azienda per i licenziamenti ingiustificati. Chi vota No, invece, ritiene che il modello attuale, basato sul risarcimento economico, sia più flessibile e adatto alle esigenze del mercato.
Il secondo quesito tocca una questione più tecnica ma ugualmente importante: le tutele per i lavoratori nelle piccole imprese. Nelle aziende con meno di 15 dipendenti, oggi il giudice non può superare un certo tetto massimo quando stabilisce l’indennizzo per un licenziamento illegittimo. Il referendum propone di eliminare questo tetto, lasciando libertà al giudice di valutare caso per caso. Chi vota Sì vuole dare maggiori garanzie a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla dimensione dell’impresa. Chi vota No sostiene che un cambiamento del genere metterebbe in difficoltà le piccole realtà produttive.
Il terzo quesito riguarda i contratti a tempo determinato. Attualmente, le aziende possono assumere a termine senza indicare una motivazione (“causale”) per i primi 12 mesi. Il referendum chiede di eliminare questa possibilità e di reintrodurre l’obbligo di giustificare ogni contratto, fin dal primo giorno. I sostenitori del Sì vogliono combattere la precarietà e gli abusi, mentre i contrari ritengono che questo renderebbe più difficile assumere, soprattutto in settori stagionali o con necessità temporanee.
Il quarto quesito riguarda la sicurezza sul lavoro negli appalti. Oggi, il committente (cioè chi affida i lavori) può non essere considerato responsabile per gli infortuni che capitano ai lavoratori dipendenti dell’appaltatore o del subappaltatore. Il referendum chiede di eliminare questa esclusione, rendendo il committente nuovamente responsabile, in solido, con tutte le imprese coinvolte. I favorevoli al Sì parlano di giustizia e responsabilità condivisa, mentre i contrari temono un aumento dei costi e dei rischi per chi appalta, anche in buona fede.
Il quinto e ultimo quesito riguarda la cittadinanza italiana per gli stranieri non comunitari. La legge attuale prevede che per chiedere la cittadinanza occorrano almeno 10 anni di residenza legale e continuativa in Italia. Il referendum propone di ridurre questo termine a 5 anni. Chi vota Sì lo fa in nome dell’inclusione e della semplificazione, soprattutto per chi vive e lavora stabilmente nel nostro Paese. Chi vota No ritiene che 5 anni siano troppo pochi per poter parlare di integrazione effettiva.
Accanto al contenuto dei quesiti, il voto ha anche una forte valenza politica. I partiti di centrosinistra, come il Partito Democratico, Sinistra Italiana, Verdi e +Europa, si sono schierati a favore del Sì, almeno su buona parte dei quesiti. Secondo loro, è l’occasione per correggere leggi ingiuste e riportare al centro i diritti dei lavoratori e dei cittadini stranieri che vivono in Italia. In particolare, la CGIL è tra i principali promotori dei primi quattro quesiti sul lavoro.
I partiti di centrodestra, come Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, sono invece contrari ai referendum e hanno scelto la strada dell’astensione. Non votare, per loro, significa impedire il raggiungimento del quorum e quindi bloccare il cambiamento. Ritengono che questi quesiti siano ideologici e che la loro approvazione complicherebbe la vita delle imprese, rendendo il mercato del lavoro meno flessibile e più costoso.
Anche nel Movimento 5 Stelle ci sono posizioni variegate: la linea ufficiale è di lasciare libertà di coscienza agli elettori. Alcuni esponenti sono favorevoli, altri contrari o scettici.
Si vota domenica 8 giugno dalle 7:00 alle 23:00 e lunedì 9 giugno dalle 7:00 alle 15:00. Per votare bisogna presentarsi al seggio con un documento d’identità valido e la tessera elettorale. Ogni quesito sarà rappresentato da una scheda di colore diverso. Il voto è personale e segreto, e ogni cittadino può scegliere liberamente se votare Sì, No, oppure non votare affatto.
In un contesto di forte astensione e sfiducia verso la politica, questi referendum rappresentano una rara occasione di partecipazione diretta. Che si scelga di votare Sì o No, o perfino di non votare, è importante sapere cosa c’è in gioco. Perché in democrazia, ogni scelta – anche il silenzio – ha un peso.