Non è stato un flop, ma è stata una disfatta, uno schianto, una figuraccia, già preventivata e ignorata solo da chi vive ancora nell’eco vuoto dei propri slogan. Il referendum sul lavoro promosso dalla CGIL e sostenuto dalla sinistra tutta – da Giuseppe Conte a Elly Schlein, – è finito peggio di quanto qualunque pessimista avrebbe potuto immaginare, un’astensione oceanica, una partecipazione ridicola, un silenzio tombale da parte del Paese reale.
Dovevano essere i “referendum dei diritti”, la riscossa popolare contro il lavoro precario e le ingiustizie, invece si sono trasformati in un clamoroso atto d’accusa contro chi quei diritti dice di volerli difendere ma non riesce più nemmeno a farsi ascoltare. Il dato è inquietante, neanche tutti gli iscritti della CGIL hanno risposto all’appello. Il sindacato più grande d’Italia non è riuscito a portare al voto nemmeno il suo stesso apparato. Un’umiliazione che dovrebbe far riflettere – e forse anche dimettere – chi in questi mesi ha alzato i toni, promesso rivoluzioni, e infine ottenuto il nulla.
Maurizio Landini, ormai sempre più isolato nel suo teatrino ideologico, ha firmato l’ennesima campagna disancorata dalla realtà. Una leadership logora, incapace di incidere, che continua a parlare un linguaggio del secolo scorso a un Paese che nel frattempo è cambiato. Schlein, Conte, Calenda? Compagni di naufragio, uniti dalla stessa incapacità di mobilitare, entusiasmare, o semplicemente convincere, una sinistra divisa su tutto tranne che sul vuoto di consensi che la circonda.
Conte ha trasformato il Movimento 5 Stelle in un partito del “forse”, incapace di fare opposizione vera, Schlein si aggrappa a battaglie identitarie mentre i lavoratori l’abbandonano in massa, Calenda continua a recitare la parte dell’alternativa, ma ormai somiglia più a un opinionista che a un leader politico. Nessuno è stato capace di trasformare il referendum in una battaglia popolare, perché la verità è che non rappresentano più nessuno.
Non è stata solo una bocciatura dei quesiti, ma è stato un voto di sfiducia verso un’intera classe dirigente che parla di povertà ma vive nei salotti, che si riempie la bocca di Costituzione ma non riesce a portare un cittadino su dieci alle urne. Un distacco totale dalla realtà, certificato non dai sondaggi, ma da un’astensione che ha il sapore dell’indifferenza irreversibile.
La sinistra italiana, quella che resta, si trova ora di fronte a uno specchio impietoso, quello della sua irrilevanza, incapace di portare a votare anche chi dice di essere tesserato!!! Forse è il caso di fermarsi e ripartire da zero, O di farsi da parte e cambiare mestiere.