Due Chiacchiere con l' Arte

Emanuele Aliotta

Biografia:

Emanuele Aliotta nasce a San Donà di Piave (VE) nel 1969 e, da oltre trent’anni, vive nel territorio
padovano. Laureato in Teologia, da sempre attirato e affascinato dalla scrittura, da molti anni scrive
poesie e, più di recente, si è dedicato a racconti brevi e al romanzo, in particolare quello storico.

Domande:

Parlaci del tuo lavoro come scrittore
Innanzitutto, grazie per lo spazio. E, secondariamente, quello di scrittore (titolo altisonante se a
me riferito, ma lo uso…), nel mio caso, non è un lavoro, ma una passione che coltivo fin da
quando ero ragazzo: già alle scuole medie mi ero cimentato con la stesura di un romanzo.
Crescendo, ho dedicato vari anni alla poesia, scrivendone molte. Poi ho “virato” verso i racconti
brevi e, in questi ultimi anni, mi sto dedicando ai romanzi storici/di formazione… oltre a qualche
collaborazione con amici scrittori.
Scrivere, poi, non lo limito soltanto ai testi di poesia/narrativa: ho scritto lavori di
approfondimento e studi su alcuni monumenti della mia città (Padova), analizzando le opere
pittoriche raffigurate, andando a cercarne le fonti ispiratrici e i significati.
Attualmente sto portando avanti (da un po’ di anni, a essere sincero) uno studio comparato sulla
mitologia mondiale, in rapporto ai primi capitoli del libro della Genesi.

Quale libro da te scritto sei stato felice di aver scritto?
Tutti. Non rinnego nessuna delle mie opere, anche se una è in fase di profonda revisione. Ma un
libro cui tengo particolarmente è l’ultimo, VISIONI – le giovani anime di Gessolungo. È stato un
lavoro di ricerca durato quasi tre anni, raccogliendo materiale anche da fonti inaspettate e,
soprattutto, è stata l’occasione per ascoltare la viva testimonianza di tre persone che, l’esperienza
dei carusi, l’hanno vissuta direttamente sulla loro pelle o avendo un parente stretto che l’aveva
vissuta.

Come la scrittura può modificare e migliorare questa società, secondo te?
La scrittura è cultura, è apertura verso mondi nuovi e sconosciuti, è ricerca, è conoscenza, è
superare quel che tu credi di conoscere, è umiltà nell’accostarti alle storie di altri, è un metterti in
gioco perché sempre, quando scrivi, tu dici, anche se in parte, te stesso. È incontro e, a volte,
scontro, è un cammino che il lettore fa con l’autore, ma che anche l’autore fa col lettore, dovendo
conoscere come comunicare con lui e saper raccontare perché, come diceva il grande Totò,
“nessuno nasce imparato”. È aprire orizzonti nuovi, respirare arie sconosciute, sognare e vivere
tutta la gamma dei sentimenti umani. È tornare in contatto con quella parte razionale, ma anche
sentimentale, che ci fanno essere uomini… e, se questo vale per tutte le forme artistiche, credo
valga in particolare per la scrittura. Queste sono, per me, le armi con le quali essa può cambiare la
società.

Perché la cultura è così trascurata secondo te nella nostra epoca?
In quasi ogni epoca la cultura è trascurata o, meglio, si è sempre cercato di farla essere una cosa
d’èlite… per i romani c’era il “panem et circensem” per accontentare la plebe. Nel Medio Evo la
cultura era appannaggio dei monasteri e, in parte minore, della Chiesa ufficiale. Nel Rinascimento
era prevalentemente una cosa di corte… l’epoca moderna ha sì inventato le scuole e dato
istruzione e conoscenze, ma la cultura, per me, è ben altro: è curiosità, passione, voglia di cercare,
indagare e scoprire, fame e sete di conoscere per migliorare, è condivisione con quanti più si può,
perché la cultura genera conoscenza, giacché ne è la madre. E se la conoscenza non è spinta dal
fuoco di questa passione, se resta una cosa di pochi, è e resta solo conoscenza. Purtroppo, oggi, si
fa questo errore: si scambiano le conoscenze per cultura, da qui il grande apprezzamento per chi
sa, conosce tante cose… ma ci sono poche persone che hanno una vera cultura.

Come nasce il tuo ultimo lavoro?
Nasce dalla curiosità di conoscere la storia dei carusi di pirrera, i ragazzi, cioè, che lavoravano
nelle miniere di zolfo siciliane, fino agli anni ’70 del secolo scorso. Conoscevo un po’ la loro
storia, ma ero, appunto, curioso di saperne di più. E da questa “curiositas” sono partito per le mie
ricerche. Ma in ogni mio lavoro alla base c’è la “curiositas” di conoscere. Come poi è nato e si è
sviluppato… ve l’ho già svelato nella seconda domanda…

Progetti futuri
Non posso rispondere… ne ho troppi per la testa. Innanzitutto, finire il lavoro sulla Genesi. Poi,
per quel che riguarda i romanzi, ne ho in mente almeno altri 7, tutti legati alla tematica di fondo
che ho scelto: quella dell’adolescenza sfruttata e abusata.

Dove possiamo trovare i tuoi libri
Digitando Emanuele Aliotta su Google, quello di tre quarti, con gli occhiali e la barbetta… sono
io. E poi, sotto, trovate il mio nome e alcuni titoli (Alea iacta esto; Semplicemente poesia; Visioni)
Librerie ove richiederli: Feltrinelli, Ibs e Mondadori (tutte on line). Il testo Alea è stato edito dalla
Montedit (MI – 2019); Visioni dalla Maurizio Vetri (EN – 2022).
Semplicemente poesia è stato edito dalla casa editrice lulu (americana) al sito lulu.com (2018) e ne
ho io alcune copie. Nello stesso sito trovate anche il testo 1800 (una serie di racconti brevi formati
da 1800 battute – 2018).

Scrittore nel 2024 ha ancora un senso?

Credo che scrivere abbia sempre un senso, proprio per quel che si diceva più sopra: è dire le
emozioni, le storie, le passioni… è fare cultura, è diffondere sapere, è narrare l’umanità, quella più
autentica. Scrivere serve a chi scrive per “costringerlo” a fermarsi e riflettere, ascoltare il mondo e
se stesso, dire e dirsi, confrontarsi con la realtà che lo circonda e se stesso… Serve per aiutare le
generazioni future a conoscere il passato. E poco importa se leggeranno un libro o una poesia o un
saggio da un computer o su un tablet… l’importante è che si legga. Certo, pare che ci siano più
scrittori di coloro che leggono… ma forse questo è dato dal fatto che la nostra società è una
società in cui tanti vogliono e sentono il bisogno di comunicare, di dire qualcosa attraverso la
parola scritta, dato che è una società che, paradossalmente, non riesce più a comunicare le cose più
profonde, o fa molta fatica a farlo. Non solo: è una società figlia dell’immagine, delle migliaia di
foto e selfie racchiuse nei cellulari e che restano, troppo spesso, prigioniere lì, fino a quando non
si libera la memoria per riempirla con altre foto che, a loro volta, saranno un giorno spazzate via…
è una società che fatica a stare ferma a leggere un libro, a pesare e pensare alle parole, va troppo di
fretta… scrivere può servire, forse, a rallentarla un po’.

Di Manuela Montemezzani 

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