Nell’ultimo incontro, prima delle vacanze estive, il tema discusso dal professor Pietro Pontremoli, esperto di Counseling, ha avuto come fulcro la questione del “politicamente corretto”.
Sono decenni che l’espressione è nota ed è spesso utilizzata in una maniera inappropriata, quasi come un’arma di difesa per giustificare un’opinione, ritenuta un po’ eccessiva.
Innanzitutto, va precisato che il concetto di cosa sia politicamente accettabile sia molto cambiato negli anni. Se da una parte vi è più attenzione ad un utilizzo di alcune espressioni, soprattutto riferite alla razza e al genere, dall’altra, durante, ad esempio, le sessioni politiche in Parlamento, è evidente come, anche gli onorevoli più raffinati, si lascino andare a modi di fare alquanto discutibili.
Una domanda da porsi, che spesso diamo per scontata, è che cosa sia un linguaggio.
Il primo principio da sottolineare è che lingua e linguaggio non sono sinonimi. Esso comprende modi di esprimersi non solo testuali. Il filosofo tedesco, Martin Heidegger afferma che il linguaggio è la casa dell’essere, poiché introduce noi agli altri, come un biglietto di visita personale e categorizza gli individui, a seconda della loro formazione e interessi.
Un titolo di libro che fa riflettere, senza essere pro o contro i totalitarismi, è La lingua del Terzo Reich, che analizza come le autorità tedesche comunicavano con i membri del Reich, ovvero lo stato creato da Adolf Hitler, in un modo solo loro noto e anche piuttosto breve, come è possibile notare nell’altro famoso libro, redatto dallo stesso Hitler, Mein Kampf. I tedeschi, infatti, utilizzano frasi brevi, ma con vocaboli lunghi, poiché, per esprimere un concetto, loro uniscono due o tre sostantivi. Lo scopo delle parole utilizzate dimostra lo scopo elevato di manipolare e omologare il pensiero delle masse. La forza plasmatica era dirompente e, spesso, gli interlocutori non erano più in grado di comprendere la differenza tra cosa significasse pace nel mondo e un’esistenza in guerra.
Per quanto riguarda l’Italia, il primo politico che, ancora oggi, è riconosciuto come uno degli uomini più carismatici del Paese, Silvio Berlusconi, aiutato anche dal lavoro che già svolgeva, si era già presentato alle prime elezioni come un’abile comunicatore: egli sapeva coinvolgere le masse e attualizzava o personalizzava espressioni come discesa in campo, che, in realtà, appartenevano ad altri ambienti semantici.
In ogni conversazione, una parola può nascondere un mondo. Un esempio ne è il gergo giovanile, soprattutto da quando, con l’utilizzo di videogiochi, in modalità multiplayer, con i quali un italiano si trova sfidare un coetaneo che può vivere dall’altra parte del mondo, essi mediano le loro limitate conoscenze linguistiche, nel caso in cui vi fossero, italianizzando un vocabolo inglese, come to hit, che significa “colpire”.
Non è un caso se le generazioni sopra i quarant’anni anni faticano già ad apprendere i modi con cui comunicano i più giovani: anche se non corretto grammaticalmente, il loro gergo è, a tutti gli effetti, un linguaggio, esso è a tutti gli effetti un linguaggio poiché, come insieme di segni, compresi tra più persona, ne presenta i requisiti. Inoltre, un consiglio è non fermarsi mai al titolo di un articolo o di un libro, che può apparire poco convincente: spesso, questo è un espediente per catturare l’attenzione delle masse, anche in un modo che possa, inizialmente, infastidire, ma, se si prosegue all’interno, si può scoprire contenuti interessanti.
Infine, un auspicio al ritorno delle vecchie e buone maniere, compresa quelle di esprimersi in un linguaggio nazionale corretto, evitando il più possibile il turpiloquio. Chiediamo un’oasi nel deserto? A farci compagnia vi è anche il desiderio del celebre giornalista, Corrado Augias, il cui sostegno non è da poco.