Il punto di Bruno

IDIOZIE O FASCISMI DI RITORNO?

C’è qualcosa di stantio in questi nostri giorni di fine inverno 2023, anzi di antico.
Premesso che Chi scrive non vede neppure l’ombra di pericoli fascistoidi o di tentativi, palesi o occulti, di riportare indietro l’orologio della storia con esperimenti deviati di ritorno all’oscurantismo dei fascismi dell’epoca che fu nel ventennio 1922 – 1945, è pur vero che occorra mantenere ben salda la bussola della democrazia e dell’antifascismo che nutre la Costituzione repubblicana della nostra Nazione e garantisce legittimità democratica, valoriale ed elettorale anche al Governo in essere, guidato dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Eppure le antenne del “comun sentire” intercettano segnali (criptati e non) una tanticchia preoccupanti e inquietanti. I “worry” e gli “alert” si vanno moltiplicando queste ultime settimane e destano un qualche campanello d’allarme valoriale. Ha iniziato quel “gran genio” del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, rivendicando nientepocodimenoche il Sommo Poeta Dante Alighieri, padre di tutti gli italiani, a Capostipite della cultura di Destra, ha continuato il Ministro della Istruzione e del Merito, il leghista Giuseppe Valditara con la lettera “horribilis” alla Preside di Firenze sui noti fatti di pestaggio a giovani studenti inermi di sinistra e ha splafonato un tal Dott. Claudio Anastasio di professione manager informatico. Il manager in questione (legato al clan dei fedelissimi del Ministro della Agricoltura Lollobrigida, cognato (molto ascoltato) del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, era stato appena nominato, nella lottizzazione in corso, Presidente della 3 – I S.p.A delegata a gestire il software di INPS, ISTAT e INAIL. Sarà venuto il suo momento di “abelinato”, gli sarà Partito l’embolo, avrà sclerato …fatto sta che ne ha combinata una davvero irricevibile, irritante e fuori dal vaso. Si è presentato all”insediamento del nuovo incarico con un un’improbabile discorso di “copia e incolla” un famoso triste intervento del Duce Benito Mussolini alla Camera nel giugno del 1925; una orazione in stile macchietta romano – impero, in cui il Duce si assumeva la responsabilità politica e morale dell’omicidio e del martirio del Deputato Socialista e Riformista Giacomo Matteotti. Una aggressione vile e infame voluta direttamente da Mussolini per spegnere una delle teste pensanti libere della opposizione democratica alla tirannide, appunto il Deputato socialista Giacomo Matteotti, assassinato barbaramente da un’orda fascista nel giugno del 1924. Questo “useless special idiot” Claudio Anastasio non ha saputo far altro che riproporre, peraltro in una situazione “non correlabile”, un discorso datato, improponibile e griffato che, se non fosse comico, sarebbe tragico. La gravità dell’accaduto non è solo scottante in sé, ma ha avuto un’eco cosi assordante e un effetto talmente rilevante da consigliarlo a rendere “immediate ed esecutive” le dimissioni dall’incarico manageriale della Azienda Pubblica. Le dimissioni, pur apprezzabili, in un mondo di inamovibili della Razza padrona, non cancellano il reato di vilipendio reiterato del martire socialista, nel senso che non eliminano le responsabilità politiche e morali di Chi lo ha voluto, scelto e nominato in quel posto …leggasi la Meloni e il suo entourage e cerchio magico. Giacomo Matteotti non meritava di essere trucidato una seconda volta dopo 101 anni e questa volta ad opera dei Signor Nessuno come gridò Ulisse a Polifemo. “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc. 23,33-34). Furono, come dovrebbe essere noto le parole pronunciate da Gesù nell’ora più buia della storia, quando a morire non era Dio, ma una umanità divorata da bocche fameliche di cattiveria. Con questa supplica Gesù ha placato l’ira del Padre e dal cielo, con la potenza distruttrice e ricreatrice di un diluvio, scese una lacrima … Dio piange al vedere suo Figlio, l’Unigenito, l’Amato morire come un verme. Avrebbe voluto soffrire, morire Lui al posto del Figlio: mai un padre accetterebbe la morte di un figlio. Eppure per essere fedele al sì all’uomo, Dio dice no a sé stesso! «Uccidete pure me. L’idea che è in me non l’ucciderete mai» ebbe a dire Matteotti nel suo ultimo discorso alla Camera. Il 10 giugno 1924, alle ore 16.15 circa, Giacomo Matteotti esce di casa per recarsi a Montecitorio. Percorre il lungotevere Arnaldo da Brescia per poi tagliare verso Montecitorio. Giunto agli archi di Porta del Popolo, ad attenderlo, c’è un’auto con a bordo Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo: agenti della polizia politica. Lo aggrediscono, Matteotti si divincola buttandone uno a terra. Arriva un terzo che lo colpisce al volto con un pugno. E intanto gli altri due lo caricano in auto. La rissa prosegue, Matteotti lancia dal finestrino il suo tesserino da parlamentare. Matteotti non si ferma. Uno degli agenti, Giuseppe Viola, estrae un coltello e lo colpisce sotto l’ascella, poi al torace, fino a ucciderlo dopo ore di agonia. Il corpo seppellito e piegato in due di Giacomo Matteotti viene ritrovato due mesi dopo alla Macchia della Quartarella, un bosco nel comune di Riano a 25 km dalla Capitale. Così Giacomo Matteotti, giornalista, antifascista, segretario del Partito Socialista Unitario, viene ucciso quando ha appena compiuto 39 anni. Dagli scranni del Parlamento, una decina di giorni prima – il 30 maggio – aveva denunciato alla Camera le violenze che avevano segnato la campagna elettorale di aprile, durante le elezioni politiche che avevano visto la forte affermazione del partito fascista (6 aprile 1924). E da tempo, Matteotti, denunciava la corruzione del governo nella vicenda delle tangenti della concessione petrolifera alla Sinclair Oil. Proprio il 10 giugno, il giorno del suo assassinio, Matteotti avrebbe dovuto rivelare le sue scoperte sullo scandalo finanziario che avrebbe coinvolto anche Arnaldo Mussolini, fratello del duce. Il Parlamento, dapprima, non nota nemmeno l’assenza di Matteotti. E la notizia della sua scomparsa appare sui giornali solo il giorno dopo. Il 12 giugno, all’interrogazione parlamentare di Enrico Gonzales, Benito Mussolini risponde: «Credo che la Camera sia ansiosa di avere notizie sulla sorte dell’onorevole Matteotti, scomparso improvvisamente nel pomeriggio di martedì scorso in circostanze di tempo e di luogo non ancora ben precisate, ma comunque tali da legittimare l’ipotesi di un delitto, che, se compiuto, non potrebbe non suscitare lo sdegno e la commozione del governo e del parlamento». Per protesta tutta l’opposizione parlamentare si ritira nel cosiddetto Aventino. Seguono mesi di braccio di ferro, in cui il governo fascista sembra quasi capitolare. Finché il 3 gennaio 1925 Mussolini si assume la responsabilità politica del delitto Matteotti: «Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi».
E con il sangue di Matteotti, ha ufficialmente inizio il Ventennio.

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