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SINDROME ITALIANA

Se sei dell'est ed emigri in Italia ti puoi ammalare gravemente

Quest’estate, come ormai accade da oltre un decennio si è nuovamente dibattuto molto sul tema dell’immigrazione. La tematica è complessa, delicata e di non facile soluzione. Nonostante ciò alcuni hanno proposto approcci semplicistici spacciandoli per modelli di buone pratiche (best practices per chi non può fare a meno di termini inglesi). Tra questi sembra aver avuto notevole successo quello definito “il modello delle badanti”.

I sostenitori immaginano un quadro paradisiaco. Ritengono che chi giunge in Italia per assistere persone anziane, possa essere ospitato da “una seconda meravigliosa famiglia”. Forse si trascura o non si è a conoscenza di un fenomeno che all’estero è denominato sindrome Italia. Va precisato che noi italiani utilizziamo la dizione sindrome della badante rumena o ucraina per riferitrici alla stessa esperienza.

Nel 2005 gli psichiatri ucraini Andriy Kiselyov e Anatoli Faifrych, nella clinica psichiatrica di Ivano-Frankivs’k, città dell’Ucraina occidentale, hanno riscontrato in alcune pazienti un quadro clinico insolito. Esse presentavano inappetenza, insonnia, tristezza e forti desideri suicidi, sintomatologia non sorprendente in una clinica psichiatria. La particolarità di queste pazienti era però che la sintomatologia si innestava su una frattura del tutto nuova, che mescola l’affievolirsi del senso di maternità con una profonda solitudine e una radicale scissione identitaria. Quelle donne, all’epoca giovani madri non sapevano più a quale famiglia, a quale parte dell’Europa appartenevano, risultavano psichicamente apolidi, prive di identità. Un fatto accomunava queste donne: essere immigrate per un lungo periodo in Italia e aver lavorato come badanti (per poi ritornare nella loro nazione di nascita). Con il trascorrere del tempo la sindrome è stata riscontrata in donne di nazionalità rumena, russa, moldava, bulgara, polacca, tutte nazioni da cui provengono donne per lavorare in Italia come badanti.

Come ha descritto un’inchiesta del Corriere della Sera, curata da Francesco Battistini, la città di Iasi, situata al confine tra Romania e Moldavia sembra essere il maggior focolaio di questa malattia. Forse anche perché mote Moldave passano la frontiera e ottengono il passaporto rumeno, in modo da poter recarsi più facilmente in l’Italia.

Le badanti giungono in Italia dall’est con la speranza di poter avere un buon reddito (sicuramene superiore a quello che otterrebbero nel loro paese). Spesso le condizioni di lavoro risultano terribili, nessun giorno di ferie, la richiesta di assistenza per 12 o più ore consecutive (esistono contratti regolari, ma si sa che spesso non sono applicati).

Queste lavoratrici non hanno alcun tipo di aiuto o solidarietà, i loro legami affettivi sono rimasti nella nazione di origine, famigliari cui inviano la gran parte del loro stipendiati, i loro pargoli crescono in assenza della madre. Esse si ritrovano così in una specie di zona cuscinetto: straniere in Italia e non più totali membri della loro società di origine. Non solo, effettuano un lavoro che richiede enormi risorse psicologiche, senza alcun aiuto per anni interi. A volte rifiutano ferie e riposi, (tanto non sanno né dove andare né cosa fare in Italia da sole).

Il malessere psicologico è facilmente spiegato, queste donne subiscono una perdita radicale della propria identità e sviluppano un desiderio di sparire. Si sa che è impossibile lavorare nel settore dell’assistenza senza poter condividere ed elaborare le forti emozioni che quest’attività comporta.

Una volta rientrate nella loro nazione, le condizioni di queste donne risultano gravissime. Le terapie necessarie dovrebbero durare anni, ma nessuna di loro se le può permettere né in patria men che meno in Italia.

La sindrome italiana per ora è sostanzialmente ancora una proposta diagnostica, non è ancora riconosciuta dai manuali psichiatrici, per alcuni

è una situazione medico-sociale e non una vera e propria malattia. Indipendentemente da come si voglia classificarlo il fenomeno esiste, tanto che altri medici lo considerano una vera e propria malattia professionale.

In questo articolo ho solo effettuato alcuni accenni relativi ad una realtà a mio avviso davvero preoccupante, sperando di aver fatto capire come sia difficile affrontare tematiche complesso, delicate proponendo facili e improbabili soluzioni.

Chi desidera porre quesiti od esprimere osservazioni può scrivere al seguente indirizzo email: liberamenteeco@gmail.com

 

 

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