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D.A.D = Dimenticati a Domicilio

Un anno di DAD. Osservazioni e comenti

Su liberamenteeco@gmail.com ho ricevuto molte mail da parte vostra in cui chiedete di occuparmi di D.A.D (didattica a distanza).

Ormai è passato oltre un anno da quando questa modalità didattica si è affermata nel nostro paese, a causa della pandemia scatenata dal coronavirus.

Un’analisi della tematica richiederebbe tempi e spazi che non posso avere in questa rubrica. Condividerò con voi alcune mie impressioni ed un significativo episodio di cronaca, presumendo che la personale elaborazione dell’acronimo, presente nel titolo di questo articolo dovrebbe far capire la mia posizione al riguardo.

Noi psicologi siamo stati e continuiamo ad essere “canzonati”, in quanto riteniamo di fondamentale importanza gli aspetti relazionali presenti in tutte le situazioni umane (in particolar modo nell’insegnamento).

Tanto per fare alcuni noti esempi: Alessandro Magno sarebbe stato lo stesso senza aver avuto Aristotele come insegnante? Mozart avrebbe potuto sviluppare il suo genio senza l’insistenza del padre musicista-educatore? Così per molti altri.

Non è possibile pensare che chiunque possa svolgere qualsiasi funzione, che le caratteristiche di personalità degli insegnati siano inutili ed indistinte nel difficile processo dell’apprendimento. Alcune ricerche hanno dimostrato che gli studenti che lavorano insieme a premi Nobel ottengono risutati migliori (ben più della media degli altri studenti). Non posso dilungarmi oltre rispetto queste interessanti ricerche, purtroppo devo giungere subito alle conclusioni. I premi Nobel non trasmettono solo conoscenza (mere nozioni teoriche), ma anche modalità di comportamento, passione, aspetti etici, pratici, esempi di vita (per essere brevi tutte quelle componenti relazionali) che non possono certo essere insegnate solo dai libri. Essi tramettono quelli che sono anche

le proprie delusioni, le proprie ambizioni, i propri sogni, quelli che sono i comuni “vizi” e virtù presenti in ogni essere umano.

Recentemente, molte persone hanno avuto una specie di “ubriacatura” per l’aspetto informatico. Per chi è psicologo ciò non sorprende. Dal 1700 si parla di homme machine (uomo macchina), all’epoca rappresentato come formato da leve, meccanismi, pulegge, una specie di meccano. Da circa il secondo dopoguerra (1945), la proiezione dell’ homme machine ha optato per la variante dell’uomo computer (insomma nulla di nuovo sotto il sole). L’uomo meccanico aveva prodotto nella letteratura la contro mitologia di Frankestein (il moderno Prometeo). Le tematiche espresse da Mary Shelley sono semplicissime: come può vivere un uomo (meccanico) senza i sentimenti?

L’informatica esprime un notevole giro d’affari. Come potete notare molte persone, specie i produttori di dispositivi e programmi (devices e software) tecnologici fanno di tutto affinché la nostra vita passi da reale a virtuale: monete elettroniche, cyber-sex, lavoro, scuola virtuale.

Al momento ciò che sembra poter fermare questa marcia trionfale consiste in tre principali fattori:

  1. elevato costo (certo non per chi vende) sia nell’acquisito che nella gestione di questi dispositivi. In effetti, “trucchetti” quali l’obsolescenza programmata, la costante necessità di aggiornamenti software richiedono sempre l’ultimo modello, hanno fatto sì che l’informatica abbia radicalmente cambiato il nostro modo di pensare e di vivere.

In pochi anni siamo passati da una mentalità contadina, in cui il mondo era ciclico e i prodotti eterni. Pensate al famoso corredo (o dote) della sposa. Questi “dispositivi” dovevano accompagnare la coppia di coniugi dal matrimonio fino al loro decesso. Oggi un telefonino può essere tecnologicamente superato (“vecchio”) in soli sei mesi.

2) La non sicurezza dei sistemi informatici e la scarsa tutela relativa alla gestione dei dati personali. Tanto per farla breve, qualcuno di voi informerebbe o affiderebbe le proprie chiavi di casa, le passwords di accesso ai propri conti bancari a dei ladri? Grazie all’informatica potete compiere questa azione senza neanche accorgervene.

Il mio titolo riporta l’acronimo D.A.D come dimenticati a distanza.

Molti hanno idea che per la scuola sia fondamentale esclusivamente l’aspetto legal/burocratico. Per il ministero e per alcuni istituti è imprescindibile che i registri (cartacei o elettronici) siano debitamente compilati, che gli alunni frequentino, che siano attribuiti voti scritti e orali. svolti i programmi previsti. Per alcuni professori può risultare di vitale importanza esclusivamente il proprio monte ore, in modo da regolarsi con la spesa e l’uscita quotidiana del cane.

A volte questa imperiosa burocrazia non coincide con i tempi e le necessità dei ragazzi. Insegnare, educare, peraltro per Freud una delle tre imprese impossibili, non vuol dire solo segnare presenze/assenze ed attribuire voti.

Il continuo decretare (dpcm) ha prodotto chiusure parziali o totali della scuola, ciò è risultato dannosissimo e disorientante. Un docente, il quale rappresenta lo stato davanti ai suo alunni, come può chiedere serietà, coerenza, attenzione ed accuratezza ai propri alunni, quando egli incarna istituzioni che emanano direttive confuse e contradditorie?

Forse bisogna rifarsi alle parole di un notevole servitore dello stato, peraltro abbandonato dallo stato stesso: Giovanni Falcone. Il quale a chi gli domandava se valesse la pena rischiare la vita per questo stato, lui rispondeva: “Che io sappia, c’è soltanto questo Stato, o più precisamente questa società di cui lo Stato è l’espressione”.

Mi occuperò di un episodio riportato dalle cronache (IL SECOLO XIX di martedì 24 marzo 2021).

Alcuni alunni hanno deciso di fornire ad un loro coetaneo, (non) conosciuto attraverso i media sociali (social media), da loro ritenuto un “genio” ed un esperto informatico, di partecipare alle lezioni in D.A.D della loro classe, disturbandole ed impedendo le interrogazioni previste per quelle ore.

(Gli episodi si sono ripetuti varie volte fino a giungere all’interruzione delle lezioni in D.A.D).

In effetti, se ci poniamo dal punto di vista degli alunni, nulla di più semplice. È risaputo che (quasi tutti) gli alunni parlano durante le lezioni, non sono certo nell’atteggiamento di contrito silenzio che potrebbe avere un religioso durante la preghiera o un monaco buddista nel suo meditare.

Quello che molti studenti non sanno è che la loro scuola statale è pubblica. La parola statale lo chiarisce con evidenza. Una scuola statale effettua un servizio pubblico, l’interruzione di un servizio pubblico è reato.

Queste nozioni possono apparire elementari. Se voi domandate

ad un alunno riguardo questo soggetto, vi direbbe: “Ma prof. (I ragazzi sono veloci e non sprecano mai le parole, gli insegnanti sono generalmente appellati a metà, dimezzando il sostantivo professore/professoressa in prof)

Io non sono un avvocato. Non posso mica saperlo”.

Quando la polizia ha conosciuto “Biboplayer”, (non il solo, ma uno dei “disturbatori” delle lezioni in D.A.D) si sono stupiti. Il suo pseudonimo (nickname) fornisce molte indicazioni, tra cui quella più evidente: è un bambino che gioca. Biboplayer è un minore, la polizia ha riscontrato il suo analfabetismo informatico (parliamo dei millennial definiti nativi digitali) e non solo. Ai poliziotti Biboplayer ha detto “ma io scherzavo, per me era solo una goliardata”. Certamente, forse queste sono le parole che pronuncerebbe il 99% degli studenti. Purtroppo Biboplayer e tanti altri alunni non si sono ancora resi conto di quello che è il senso di realtà. L’intervento della polizia, la pubblica autorità avviene dopo una costellazione di fallimenti: genitoriali, istituzionali (scuole), formativi (parrocchie, gruppo di amici, circoli sportivi).

In breve, ribadisco, ormai da un anno siamo in D.A.D ovvero abbiamo Dimenticato a Domicilio queste ragazze e ragazzi. Il lavoro da fare sarà immenso, bisogna recuperare unintera generazione: Auguri a tutti.

Chi desidera porre quesiti od esprimere osservazioni può scrivere al seguente indirizzo email: liberamenteeco@gmail.com

 

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