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Luci a…Pavia

«Il titolo non posso dirlo. Ma parla di un anno di scuola, il 1987. Una scuola dell’utopia, con una serie di lezioni all’aperto per trattare con gli studenti argomenti che partono dal nulla e spaziano dal mito alla poesia all’arte. Un libro coraggioso, direi. Me lo sono permesso. Uno sfogo, più che altro: ogni tanto lo faccio, e pazienza — mi dico — se non lo leggerà nessuno».

In un’intervista, presenta con queste parole il suo ultimo libro, quel certo professore di Lettere, conosciuto pià come il cantautore di un’epoca che, anche i giovani, rimpiangono: gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. In realtà, egli ha proseguito anche dopo, ma la fama se la creò, con impegno, nella brillante città di Milano.

Roberto, quando insegna, è come se predicasse: le sue lezioni ti trasportano in un’altra realtà e, anche quando finiscono, lasciano un alone di sollievo. Oggi, più che mai, ne avremmo bisogno, ma, come molti altri corsi dell’ateneo, saranno disponibile a distanza.

Egli, accompagnato dal suo sigaro, inizia a parlare di storia, prosegue con epica, cita un autore letterario, poi, magari, scherza con le battute in dialetto milanese, fino ad arrivare a principi di vita fondamentali, uno tra tutti: il diritto di sognare. Effimero? No, necessario!

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