Il 12 aprile 1961, sessant’anni fa, su di una scomoda “capsula ” che aveva a nome “Vostok” , in russo “Oriente”, prendeva posto un uomo che sarebbe passato alla Storia come il primo inviato in missione nello spazio. Quell’uomo non sarebbe più stato dimenticato ed il suo nome ancora oggi evoca i tempi “eroici” delle prime missioni fuori dall’atmosfera terrestre: era Juri Alexandrovich Gagarin, un ufficiale dell’Aeronautica Sovietica che, dopo un impegnativo programma di preparazione, era pronto per recarsi alle soglie dello spazio in cui siamo immersi…Gagarin era nato a Klušino, un piccolo villaggio presso Smolensk, famoso comunque perchè nei pressi vi si svolse, nel 1610, una battaglia fra l’esercito polacco, allora vittorioso, e l’esercito russo, nel contesto della guerra polacco-russa del 1605-1618.
Gagarin era di famiglia semplice, il padre e la madre lavoravano in una fattoria collettiva e lui,ragazzo, venne avviato a divenire operaio specializzato ma la passione per il volo era troppo forte e seppe passare da un aeroclub per dilettanti, alla scuola di volo militare di Oremburg alla promozione a pilota di terza classe e successivamente di “primo tenente”, nel 1959. Aveva avuto difficoltà perl a bassa statura di un metro e cinquantasette. che non gli permetteva di eseguire talune manovre, impedendogli una completa visuale ma alcuni assestamenti sul sedile furono sufficienti a migliorare i punti deboli e fu la statura a favorirlo, invece, per l’addestramento al volo spaziale, cui egli chiese di partecipare, perchè Sergei Pavlovich Korolev, l’ingegnere capo del Progetto spaziale sovietico, prescrisse che i cosmonauti non dovessero superare il metro e settanta di altezza ed i settantadue chilogrammi di peso, data l’esiguità degli ambienti delle “navicelle” spaziali.
Le missioni sperimentali nello Spazio, di cui l’Unione Sovietica fu pioniere, avevano inviato in orbita veicoli vuoti o animali, come la famosa cagnolina Laika, in realtà Kudriavka, “spedita” nello spazio il 3 novembre 1957, vera piccola eroina, dove sarebbe sopravissuta quattro giorni. A Gagarin spettò il compito di primo pilota, affiancato da Titov e Neljubov , sulla “Vostok”, pesante 4700 chilogrammi.
Il giorno fatidico del 12 aprile 1961, il razzo vettore Semyorka decollò dal cosmodromo di Bajkonur, in Kazakistan, ed iniziò l’avventura straordinaria dei viaggi dell’uomo nello spazio. Le varie fasi di propulsione, dopo la separazione dei diversi stadi del missile, “abbandonarono” il veicolo spaziale, che completà un’ orbita ellittica intorno alla Terra in 108 minuti, raggiungendo un’altitudine massima – apogeo – di 302 km e una minima – perigeo – di 175 km, viaggiando a una velocità di 27400 chilometri orari. Durante la missione di volo, con ordine speciale, Gagarin venne promosso a pilota militare di prima classe con il grado di maggiore.
“Il cielo è molto nero, la Terra è azzurra. Tutto può essere visto molto chiaramente” ….la frase famosa pronunciata da Gagarin rimase memoria della prima volta in cui un uomo contemplava il nostro Pianeta dalle lontananze siderali! Dopo la temeraria discesa da 7000 metri di altezza in paracadute, preceduta dal rientro della capsula nell’atmosfera terrestre, Gagarin ritornò sulla Terra e divenne una leggenda vivente. Insignito del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica dal leader russo di allora, Nikita Kruscev, il cosmonauta venne invitato in una trentina di Paesi:dal Regno Unito alla Bulgaria, dal Canada alla Finlandia, da Cuba all’Islanda, non negli stati Uniti perchè il presidente Kennedy si oppose; del resto il programma statunitense spaziale “Mercury” non era ancora approdato a risultati importanti ma gli astronauti del successivo programma “Gemini” che, come si sa, avrebbe condotto gli Stati Uniti a vincere la gara spaziale, nel 1969, incontrarono Gagarin a Parigi nel 1965, con il vicepresidente degli Usa Humphrey e col primo ministro francese Pompidou, al “Paris Air Show”.
Gagarin, conteso, nel suo Paese, da considerazioni che lo vedevano a metà un mito nazionale ed a metà un personaggio scomodo, per vari motivi, compreso l’incidente della Soyuz 1, che gli costò la sospensione dai voli, divenne comunque un esponente politico, prima nel “Komsomol” – Gioventù Comunista – e poi del Soviet delle Nazionalità, e si laureò con lode, ancora e tuttavia, in Ingegneria aerospaziale, poco prima di morire, il 27 marzo 1968, a 34 anni appena compiuti. L’incidente aereo che gli fu fatale, insieme con l’istruttore di volo Vladimir Seryogin, quando si schiantarono a bordo di un piccolo Mig, presso Kiržač, nella Russia Europea, dove gli è stato dedicato un monumento, non ha mancato di suscitare sospetti, ipotesi , teorie di complotto, come è più che logico e conseguente ad un caso del genere. Varie inchieste furono condotte dal KGB, dalle commissioni governative, dall’Aeronautica militare, cui seguirono ricostruzioni e revisioni sino al veto, posto dal Cremlino nel 2007, di avviare ulteriori indagini, puntando sull’ufficializzazione del “rapporto declassificato” di una Commissione del Comitato Centrale del PCUS, che individuava la causa dell’incidente in una manovra improvvisa dei due aviatori per evitare un pallone meteorologico.
La missione di Gagarin, nell’epoca di “disgelo”, seguita alla svolta del XX congresso del Partito Comunista sovietico, che, nel 1956, condusse alla Distensione degli anni di Kruscev e di Kennedy, dopo la crisi di Cuba, sembrò rendere e rese concreto, il colpo d’ala dell’Uomo verso la conquista dello spazio, nello stesso anno – il 1961 – in cui lo scrittore polacco Stanisław Lem, pubblicò il suo straordinario romanzo “Solaris”, che delineava, con le licenze della fantascienza ovviamente, ma con una originalissima riflessione intima e filosofica, un nuovo e più profondo rapporto dell’Uomo con l’Universo. Il mondo che si stava risollevando, dopo le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale, guardava allo Spazio, con l’utilizzo a scopi pacifici degli strumenti aerei più sofisticati che nel conflitto appena terminato avevano fatto la loro comparsa a fini bellici. Guardava alle immensità siderali, come guarda ancora, per trovare,forse, remoti e futuribili approdi per la specie umana, quando e se la nostra Terra, sarà troppo piccola per noi. Ma ciò che stiamo vivendo, l’attuale pandemia centro di tutte le attenzioni, ci induce a riflettere ed anzi a constatare che il “futuro” immaginato allora, aveva in serbo sorprese che ci avrebbero riportato al passato. L’anelito quindi, non solo tecnologico, ma spirituale ed interiore, a puntare verso “altri mondi” è pur sempre una molla importante per pensare all’ Avvenire!!