Cronaca

L’omicidio di Giulia: il facile argomento della società patriarcale

Intervento dello scrittore Fabrizio Uberto

 

L’efferata uccisione di Giulia Cecchettin ha suscitato ancora una volta l’annoso dibattito sulle cause dei cosiddetti ” femminicidi”, nonché sui rimedi esperibili per contrastare l’odioso fenomeno della violenza sulle donne.
Al di là di qualche voce isolata, opinione pubblica e mass media concordano sulla matrice ” patriarcale” dei soprusi maschili, attribuendone la responsabilità alla nostra società, caratterizzata da diffusi istinti di prevaricazione dell’uomo sulla donna, cui corrisponderebbero le ancora attuali difficoltà di emancipazione di quest’ultima. Si è altresì aggiunto che di questo come di altri omicidi dovrebbero ritenersi moralmente responsabili gli uomini nella loro generalità, in quanto non esenti nelle loro vite da tale mentalità, o anche da atti o comportamenti in qualche modo discriminatori nei confronti dell’altro sesso. In altre parole si punta ancora una volta il dito contro il ” contesto” sociale e culturale, che sarebbe imperniato ancor oggi su una concezione ” proprietaria” della relazione uomo-donna.
Ebbene lo scrivente, pur riconoscendo che per alcuni uomini la realtà è purtroppo quella dinnanzi descritta, non condivide per niente questa generalizzazione, che al contrario calzerebbe per quelle società ( vedi ad esempio gli Stati islamici ), nelle quali le donne sono effettivamente costrette a una ” minorità” che le rende praticamente schiave della volontà e dei soprusi maschili.
Nelle società occidentali a mio giudizio, il problema è soprattutto psicologico, per non dire psichiatrico. Nei giovani o meno giovani carnefici delle loro compagne la predetta visione ” proprietaria” si incardina su un substrato di fragilità psichica e di analfabetismo emotivo, in questi casi culminato nella soppressione della partner, ma che altrimenti potrebbe o avrebbe potuto manifestarsi anche in altre “occasioni”, distruttive o auto-distruttive. Ciò ovviamente non li rende meno colpevoli e non può in alcun modo costituire un’attenuante, o peggio, una causa di giustificazione. Ma non occorre scomodare Dostoevskij, per comprendere come nell’intimo di questi assassini esista un “sottosuolo” di abiezione, di disorientamento etico e di infatuazione nei confronti di modelli perversi o degenerati di approccio alle loro compagne, ( questi ultimi ben rappresentati dai siti pornografici cui presumibilmente spesso si abbeverano).
Non si può pertanto generalizzare: il gesto criminale è sempre individuale, come d’altronde quello auto-distruttivo: si tratta di un corto circuito psichico, di qualcosa che si rompe definitivamente nel fragile equilibrio di questi soggetti e li induce a sfogare la loro frustrazione nella modalità più aberrante: la distruzione di un’altra vita, come scellerata compensazione del fallimento della propria.
Anche sotto il profilo dei rimedi e della prevenzione, si dovrebbe tenere conto di queste dinamiche. Perché sono la fragilità, il senso di inadeguatezza e lo squilibrio di certi comportamenti a necessitare di attento monitoraggio da parte della famiglia e dalla scuola, insieme con un’educazione a corrette relazioni civiche ed affettive. Quest’ultime non tanto imposte per legge, quanto ispirate a validi modelli di riferimento, genitoriali ed esistenziali.

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