Attualità

31 dicembre, l’invincibilità dello spirito

Intervento dello scrittore Fabrizio Uberto

Le undici e venti, manca poco. Sono un ragazzo fortunato. Stasera mi trovo, ventenne, a festeggiare l’anno nuovo nella bella casa anconetana dei miei zii. Ci sono i miei genitori e mia sorella, non mancano all’appello la nonna, la zia e i miei due cugini. Una tavola imbandita in modo perfetto, il bianco ricamato della tovaglia e i suoi centrini. Ma soprattutto quel salotto elegante e un po’ barocco, i drappi di un rosso cardinalizio che vivacizzano le categoriche porte- finestre. E poi ancora, i quadri di autore, lo scrittoio Luigi XVI, il canterano di vite incorniciate.
Quanti eventi ha visto questo soggiorno! Il 68, i primi “vagiti” dell’impegno politico di mio cugino, più grande di me di una decina d’anni: quel suo volermi indottrinare, tra il serio e il faceto, con il comunismo e la lotta di classe. La saggia Nonna, provata dalla guerra e tuttavia serena, le sue impreviste lacrime, quando proprio lì, la mamma le annunciava di essere incinta di mia sorella. E poi le discussioni: il mio signorile Papà, che sorprendentemente perde la calma, litigando con il cugino, quando in una tragica primavera, la Russia invade la Cecoslovacchia. Non manca la zia, un po’ scostante, quel suo gareggiare sottovoce con la mamma, sulla bellezza dei figli maschi, e i calcetti sotto al tavolo della nonna, per sedare la singolare competizione.
Ma anche la caciara, il casino infantile! Le due cugine inseguite dai rispettivi fratelli, a suon di pallini di gomma, lanciati dalla pistola- giocattolo in voga in quel momento.
Ma bando ai ricordi, torno all’oggi, a questa serata tranquilla, pur nella sua staticità. Una staticità rassicurante, un copione navigato. Ma è tutta apparenza. Di lì a poco, su quella tavola si addensano nuvole di cupezza, nembi di un passato che si fa futuro e diventa presente inquietante.
” Avete visto Adolfo”, dice la zia, ” tanti progetti, tante speranze e poi in un momento svanisce tutto, la vita è proprio matrigna!” Parla di suo marito, morto precocemente di tumore. Papà rincara la dose: ” C’è poco da fare, si può dire che siamo tutti dei condannati a morte, con l’unica fortuna di non conoscere il giorno dell’ esecuzione…”
” Dio mio” pensiamo io e mia sorella, senza essere credenti. Per un po’ ci facciamo le boccacce, ridacchiamo e sbuffiamo.
Ma poi mi rendo conto di averne abbastanza e, al solito, mi lancio in un colpo di teatro. ” Sentite un po’ vogliamo parlare del 2070 allora? Saremo tuti morti, compresi i nostri figli!” Mi alzo di scatto, guadagno il corridoio.
” Fabrizio torna a tavola!” dice la mamma.
Occhi raggianti di severità sono il monito a resistere. Arretro, mi risiedo.
” Si è vero Fabrizio”, continua , ” tra molti anni saremo tutti morti, ma che importanza ha?”
” Uffa Lilli, possiamo finirla con questi discorsi? A Capodanno poi!”, si scandalizza la zia.
” No, io voglio continuare. E’ vero tra cent’anni non ci sarà più nessuno. Ma il punto è che null’altro si spegnerà, a parte le nostre vite!”
La nonna scuote la testa, allo stesso modo, m’immagino, in cui molti anni prima disapprovava la sua bimba, irriverente e dispettosa.
Ma Lilli insiste. ” In fondo anche qui, sì dico adesso, che cosa celebriamo?” Mormorii di disapprovazione. ” Celebriamo non tanto un nuovo anno, quanto il riproporsi della nostra vitalità, della bellezza di essere vivi. Festeggiamo il presente, cui dobbiamo tutto. Questa, ora ditemi che son matta, io la chiamo “invincibilità” dello Spirito. La dobbiamo coltivare, se siamo persone e non amebe, perché per me è fiamma che non deve mai svanire. Al di là di ogni credenza o religione, è il giardino interiore, lo scrigno dei nostri talenti e della nostra generosità. Quindi, se siete contenti, possiamo anche morire, ma questo anelito ci sopravviverà!”
E’ mezzanotte. Non capisco, cos’è successo? Si sono tutti tacitati? D’improvviso mi trovo nella penombra, il bicchiere traballante tra le mani.
Purtroppo non c’è più nessuno. Il salotto è una cornice senza “Quadro”, fuggito via nel buio del Tempo.
Ma non mi sento triste. Accolgo con serenità il nuovo Anno.
Ho ancora la mia “Bussola”, rinasco al mio destino.

Lascia un commento