Due Chiacchiere con l' Arte

Emilio Noaro , Scrittore

“FUORI ROTTA” di Emilio Noaro 

Sinossi

Siamo negli anni Novanta. Dario ha perso il lavoro e, con esso, l’amicizia e gli affetti. Rimasto solo, senza nemmeno la casa, si trova nella difficoltà quotidiana di sopravvivere. Come sfogo usa un quaderno per raccogliere i suoi pensieri e raccontare le sue giornate vuote trascorse peregrinando tra assistenti sociali e strutture assistenziali. Tra alti e bassi, tra momenti di disperazione e di speranza, il lettore si troverà partecipe del vortice emotivo di chi vive momenti difficili.

Questo romanzo si presenta sotto forma di diario, prende ispirazione dalle vite di persone reali e che vivono ai margini della nostra società e gli anni Novanta possono trovare corrispondenze nell’attualità.

 

Bibliografia

  • Giugno 2017 – Finalista alla IV edizione del Premio Letterario Nazionale Bukowski – Viareggio – con il racconto “Schizofrenia delle note
  • Novembre 2018 – Inserimento nell’antologia CET – Aletti Editore – Scuola autori di Mogol – 5^ edizione – del racconto “Immigrazioneduepuntozero
  • Aprile 2019 – Reading del racconto “Marciare” – XIII edizione della Rassegna teatrale “Il dono della diversità” presso la libreria teatro Tlon – Roma
  • Ottobre 2019 pubblicazione romanzo “Fuori rotta” casa editrice Leonida
  • Febbraio 2024 pubblicazione romanzo “Memorie di polistirolo” casa editrice Leonida

 

Breve nota biografica

Emilio Noaro (1964) vive e abita a Padova. Scrittore per passione, nella vita si occupa di accoglienza di giovani, adulti, anziani privi di validi riferimenti familiari e a forte rischio di marginalità. Nel tempo libero, oltre a scrivere, ama correre sugli argini.

Con la stessa casa editrice ha pubblicato il romanzo “Memorie di polistirolo”.

INTERVISTA ALL’ AUTORE

 Come mai ha scelto una tematica così complessa e contraddittoria?

L’obiettivo del romanzo è quello di far conoscere il fenomeno dell’emarginazione grave, dei
senza fissa dimora, dei poveri, attraverso l’esposizione del romanzo-diario. Lavoro da oltre
trent’anni su una struttura di accoglienza di persone socialmente emarginate. Ho
conosciuto donne e uomini, ragazze e ragazzi con storie profonde, persone e famiglie che
mi hanno fatto l’onore di condividere e rendermi partecipe dei loro vissuti. Non si può mai
dare per scontato cosa si cela dietro al comportamento di una persona. La sofferenza, il
disagio non sono colpe e tanto meno condanne; eppure, ci sono cittadini e istituzioni che
tendono a stigmatizzare la persona “fragile” a relegarla all’interno di protocolli, paletti di
regolamenti. È difficile aiutare una persona se prima non credi in un approccio di
condivisione, la gente tende a non avere pazienza e le istituzioni si trincerano dietro a
vincoli economici. La speranza c’è ed esiste, bisogna coltivarla, va costruita insieme con
intelligenza e competenza. Bisogna investire maggiormente sui corpi intermedi della
società, sulla solidarietà di prossimità.

 Chi sono secondo lei ” gli ultimi”?

La vita obbliga tutti noi a improvvisarci funamboli ed equilibristi.
Ma solo quando cadremo scopriremo se la cintura di sicurezza che ci hanno dato funziona
davvero o è difettata.
C’è tanta povertà nelle famiglie, nelle persone e una sempre più diffusa tristezza negli
animi. Gli ultimi sono le persone che non sono intercettate dalla società, quelle senza
“cintura di sicurezza”.

Ci parli di questo libro, come è nato?

Il libro è nato osservando le vite “al limite” delle persone che ho avuto in accoglienza. Ho
cercato di condensare in un unico personaggio le storie di molti. Siamo negli anni Novanta.
Dario ha perso il lavoro e, con esso, l’amicizia e gli affetti. Rimasto solo, senza nemmeno la
casa, si trova nella difficoltà quotidiana di sopravvivere. Come sfogo usa un quaderno per
raccogliere i suoi pensieri e raccontare le sue giornate vuote trascorse peregrinando tra
assistenti sociali e strutture assistenziali. Tra alti e bassi, tra momenti di disperazione e di
speranza, il lettore si troverà partecipe del vortice emotivo di chi vive momenti difficili.
Questo romanzo si presenta sotto forma di diario, prende ispirazione dalle vite di persone
reali che vivono ai margini della nostra società e gli anni Novanta possono trovare
corrispondenze nell’attualità.

Possiamo diventare tutti ultimi, secondo lei?

Tutti possiamo diventare ultimi, tutti siamo candidati all’abisso. È scritto, nei testi
specializzati in quest’ambito della ricerca sociale, che molte persone colpite da eventi
traumatici (abbandono, malattia, lutti, disoccupazione, separazione coniugale, dipendenza
da sostanze o da comportamenti compulsivi, ed altro ancora) rimangono dapprima
disorientati, quasi incapaci di reinterpretare la realtà che muta ai loro occhi, fermi nella
memoria di ciò che sono stati ma inadeguati di intravvedere strategie e risorse per superare
le attuali difficoltà. Se tale posizione di “attesa” si prolunga senza imboccare la via di un
cambiamento positivo, ecco che quella povertà, quel fallimento, quella inadeguatezza
diventano pervasivi dei vari ambiti della vita. Pian piano la “rotta” della normalità è smarrita.
La vita va srotolandosi verso il basso, cumulando sconfitte su sconfitte, deficit su deficit,
patologia su patologia.

Un impegno sociale concreto potrebbe evitare che ci siano persone di serie a e di
serie b. Cosa ne pensa?

L’assistenza deve essere posta di fronte alle esigenze di un nuovo concetto di assistenza il
cui nome è “accoglienza”.
È una continua sfida con l’appartenenza, avere un ruolo, ovvero scegliere chi vuoi
rappresentare e cosa vuoi essere. Se lavoriamo strettamente sulle regole diventa
automatico mettere alle persone dei paletti, impostati i quali, chi esce dai parametri è fuori
oppure viene mortificato, connotato come non credibile. Diventa limitativo lavorare
strettamente sulle norme, perché se riconosci nell’altro un potenziale fratello gli elementi in
gioco vanno al di là di un progetto educativo individuale, ma si mettono in azione tante altre
variabili. Questo continuo allenamento di confrontarsi con le persone è fonte di
arricchimento.

Come sensibilizzare le persone ad una tematica così reale?

Più che le persone, più che i cittadini, che sono già sensibili, bisogna “risensibilizzare” le
istituzioni e la politica ad un rinnovato dialogo con i corpi intermedi della società. È
importante avere chiaro il concetto che quando operi sul disagio hai a che fare con la
persona, intesa come donna/uomo portatore di un disagio. Chiarito questo, si può lavorare
in un contesto di rimozione delle cause che portano quella persona al disagio.
Quando ci si rivolge alla politica, alle istituzioni, all’ente pubblico, dall’amministrativo
all’assistente sociale, prima dialoghi con la persona in senso di uomo/donna e poi
contestualizzi l’ente. L’ente per giustificare alcune decisioni si trincera dietro a regolamenti,
a protocolli frutto di decisioni collegiali. Tuttavia, bisogna riuscire a trovare un punto di
dialogo con le istituzione perché altrimenti si diventa interlocutori di sigle e definizioni che
rischiano di relegare il disagio o la povertà in parametri di tipo statistico.

Dove possiamo trovare il libro?
“Fuori rotta” è pubblicato dalla casa editrice Leonida https://www.editriceleonida.com/prodotto/fuori-rotta/
Poi lo si potrà trovare nei principali siti di vendita.

Di Manuela Montemezzani

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