Attualità

“La lunga vita di Elisa Della Pergola”

Un po’ per farti passare il tempo, un po’ per  rincuorarti ora che il virus ti sta mettendo alle corde in questo letto di ospedale, mi vien da condividere le note dominanti, le costanti, i punti di forza e pure di debolezza di tutta la tua vita, il modo grintoso eppure etico ( nel senso che darò a questo termine) nelle prossime righe.
E questo tuo carattere puntiglioso, ribelle era già emerso durante gli anni bui delle persecuzioni razziali, in cui tu come ebrea, come d’altra parte il resto della tua famiglia eravate stati messi al bando dalla ferocia nazi- fascista ( tuo padre non tornò più da Auschwitz). E non avevi ancora dieci anni, quando come non si stancava di raccontare la Nonna, quel manipolo di biechi borsalini con baffetti, invase la vostra casa di Via torti per procedere a un appello, che per quel che ne potevate sapere voi, poteva anche essere foriero di deportazione e di morte. Ebbene tu, quando il più alto e truce tra quei signori, pronunciò il tuo nome, declamandolo in ” Della Pergola Elisa”, trovai l’ardire di contraddirlo, puntualizzando ( esattamente come la Micol dei Finzi Contini), : ” Non mi chiamo Elisa, mi chiamo Lilli!”, sbeffeggiando di fronte ai colleghi l’attonito aguzzino. Era la fine del 38 e per il momento quei signori non fecero danni, se non procedere all’espulsione tua e della zia dalle scuole pubbliche, nonché al licenziamento di tuo padre da una nota azienda genovese. Durante i bombardamenti, venivi sballottata da una galleria all’altra e c’è chi racconta che trovavi la forza, sotto l’urlo sinistro delle sirene, di giocare al pampano,  tappandoti le orecchie, restia a ad ascoltare i richiami della nonna. Ebbene sotto quel frastuono, precocemente da semplice bambina, tappandoti le orecchie, continuavi a ripeterti sottovoce come un mantra ” Amo la vita, amo la vita , amo la vita”. E fu così. Perché quando terminò la lunga notte bellica, solo dalla luce ritrovata di un ‘esistenza che sembrava destinata a sfiorire e spegnersi negli orrori, fui sempre attratta, cercando nuove soluzioni e svolte che compensassero le perdite lancinanti che avevi subito. E così poco più che vent’enne ti invaghii di quel bell’ingegnere, che tanto ricordava il tuo perduto padre: nel fisico come nella signorilità, nella modestia e nell’intelligenza. Tutto ti doveva essere restituito, di più, tutto doveva essere perfetto, vitale, a tratti anche lussuoso. E se qualche granello inceppava l’oliato meccanismo di felicità che a tutti i costi doveva ricompensarti, allora subito doveva essere sostituito da qualcos’altro, di altrettanto vitale, effervescente, stimolante. Se Fabrizio il primogenito, lo vedevi come un po’timido e insicuro, allora nella tua mente doveva però essere il più bello e affascinante tra i ragazzi, così come la sorellina Michela ed entrambi dovevano essere brillanti, solari, punte di diamante. Ma a parte i figli e il marito, c’eri comunque tu, che ti ergevi in tutta la tua voglia di vivere e di lottare: non potevano certo essere le eventuali manchevolezze di figli e marito a ostacolare il tuo cammino verso la felicità, non potevano certo essere i lutti prematuri ( la perdita dell’amica del cuore Liliana) a sbarrare il passo verso quella ” pazza gioia”, che ti rendeva vorace verso ogni singola risorsa di una vita ( dai viaggi, al successo nell’insegnamento, alle amicizie intellettualmente vivaci), che sapevi era tua missione assaporare fino all’ultimo scampolo, anche a costo di apparire un po’ egoista. Ed è proprio questo il punto, cara Lilli: può esistere un’etica dell’egoismo? E’ concepibile insomma parafrasando Kierkegaard,  un’etica anche in una vita estetica? Tu forse penserai di sì, di aver fatto proprio tutto per accontentare te stessa e gli altri, e tentare questa difficile quadratura del cerchio, anche se talvolta, non dolertene, questi altri si sono sentiti un po’ trascurati dalla primazia delle tue esigenze e e di quella tua voglia di sentirti sempre un po’ in primo piano.  L’amore di sé, la cura dell’estetica così assidua anche in tarda età, il gusto per il “capo” ricercato e raffinato sono stati anch’essi un modo per auto gratificarsi verso le manchevolezze di un’infanzia matrigna. Il tuo modo di donarti è stato attraverso la puntuale presenza educativa, l’interventismo, le preoccupazioni per i figli: ma è come se avessi sempre custodito dentro di te il nucleo più profondo della tua affettività, relegandolo al pubblico, all’impegno sia pure in tarda età nel volontariato e nel sociale, più che esternarlo nella tolleranza e nella compassione interpersonale. “La voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria”: per te che ora sei in difficoltà risuonano più che mai appropriate, le note della famosa canzone della Vanoni,  ad  esaltare il senso di un’esistenza che, comunque la si pensi, è stata vissuta nel più completo e singolare dei modi.

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